Perché il cameriere è considerato lavoro di serie B, ma invece è il futuro

Ci sono mestieri che da sempre sono e vengono considerati di serie A: fare l’imprenditore, diventare un famoso professore universitario, fare l’Influencer, oppure il dipendente pubblico.

Poi, ci sono professioni che ci hanno insegnato essere quelle che tutti vorremmo fare, perché alla ribalta, oppure perché sulla bocca di tutti. Queste sono però spesso sotto l’effetto di una corrente, di una moda che guarda con occhi rapiti e stereotipati una lavoro piuttosto che un altro. Vedi gli chef.

Il problema è quando, peggio, sono invece le ambizioni altrui a battere il ferro su una carriera piuttosto che un’altra: il classico esempio è quello della mente genitoriale medio borghese che vuole il figlio, magari universitario in banca, oppure avvocato o medico.

Certo, in quest’ultimo caso c’è la figura responsabile del genitore che vuole per il proprio figlio tutto il meglio, ma sarebbe ipocrita se nessuno dicesse che questa montatura di pensiero, per quanto nobile d’animo, abbia contribuito a creare la speculazione giovanile in atto, che non trova nemmeno più nella carriera sicura il suo io.

Certamente, qui si aprono diversi dibattiti. Si dovrebbero prendere per mano le questioni etiche ed economiche, che per loro natura poi sono temporali e vicine alle attuali condizioni del mercato del lavoro, nonché della condizione psicosociale dei giovani di oggi.

Però, lasciando da parte per un momento il tema iniziale della serie A, quindi del lavoro che può contribuire a creare e modellare una persona, specie se giovane, potremmo per un attimo direzionarci su una domanda: qual è il lavoro di Serie B?

Qual è quel lavoro, che non fa di un giovane una persona autosufficiente, che non lo rende o quasi autonomo nella vita e nella professionalità, che anzi ne crea uno stereotipo di categoria se non addirittura di una generazione intera?
Su tutti uno: Il cameriere.

Perché un cameriere è considerato una professione di mezzo, una persona che aspetta di fare qualcosa di serio, un intermezzo tra la laurea ed un tirocinio? Ma soprattutto, perché è diventato negli anni il lavoro immagine di una generazione che aspetta? Perché fare il cameriere è il lavoro visto nella serie Friends come un qualcosa da cui Rachel inizia e non conclude, da cui tutti fuggono, dal quale tutti passano.

Eppure, Joe Bastianich si definisce un «uomo di sala», Piero Pompili scrive per Vice: «I camerieri e la sala saranno il futuro dei ristoranti», ma soprattutto: «La cultura è fondamentale per un cameriere. Sbaglia chi pensa il contrario e concepisce il nostro mestiere come facile». 

La ristorazione è un settore sfidante e colmo di impervie difficoltà, ma si sa, dopo Masterchef e la quarantena, sono diventati tutti chef. Più nessuno vuole fare il porta piatti, perché? Perché il mestiere del cameriere è facile? Niente di più sbagliato.

La risposta è che fare il cameriere viene visto come tale, ma non è facile. Provate voi a rimanere impassibili per dieci ore, indossando la mascherina, correndo e conversando con personalità sfaccettate e diverse tra loro.

Viene considerato come un lavoro umile, ma non lo è sempre. Ci sono camerieri che portano a casa stipendi da capogiro. In alcune zone, è facile vedere un distinto lavoratore o borghese che viene servito da un cameriere con cui ha in comune l’ultimo modello di macchina e la casa al mare.

Allora, per quale motivo, nonostante i vari strappi al passato, conviviamo con un’immagine di un lavoro umiliante? La risposta sta in anni e anni di convincimento, di storytelling di una serie A e di una serie B. Nel lavoro, non cambia, anzi, si ambisce ad una per non cadere nell’altra. Ma siamo sicuri che sia ancora così?

Pare che qualcosa stia per cambiare, forse perché a fare i camerieri ora ci sono i laureati? I giovani acculturati? Probabile, ma la realtà è che presto la sala diventerà il centro della ristorazione.