Poveri, immigrati ed eccezionalmente non banali: siamo l’Europa dei diversi

Parigi, anno 1482, è il tempo in cui Sandro Botticelli dà alla luce La Primavera, 27 anni dopo la Bibbia a 42 linee di Gutenberg, un secolo e sette anni prima della Presa della Bastiglia.
Notre-Dame de Paris, la prominente cattedrale gotica, intramontabile scrigno della cristianità occidentale, calcata da sovrani e imperatori che avrebbero edificato l’Europa moderna, è il luogo prescelto da Victor Hugo per far da sfondo e anima ad una storia tragica che nasconde sotto di sé le perpetue fragilità del vecchio continente. Muore impiccata Esmeralda la zingara, la selvaggia e ingenua fanciulla che gli uomini di potere non riescono a piegare, muore suicida Quasimodo, il gobbo storpio e sensibile che la società ha voluto disconoscere come persona, muoiono annichiliti dal fuoco e dalle pietre gli zingari riottosi, portatori di una clima alieno e destabilizzante che le autorità non possono tollerare. E oggi, a circa un anno dall’incendio fatale che stravolto la cattedrale, milioni di persone continuano a dirsi discriminate, escluse, disprezzate da una comunità organizzata che non le accetta.

La Commissione Europea, in un rapporto risalente al 2015 e intitolato «Sulla discriminazione dei giovani in Europa», ha segnalato che nel 2012 il 17% dei cittadini europei, valore corrispondente alla sorprendente cifra di 85 milioni di persone, si è personalmente percepito discriminato, in quanto appartenente o ad una minoranza etnica o ad una minoranza di genere. Continua a sopravvivere la più grande minoranza non riconosciuta del continente, quella del popolo romanì, che le stime del Consiglio d’Europa attestano essere composta da 11 milioni di persone, un blocco anonimo di individui in condizioni precarie di vita: nell’Europa del sud-est solo il 18% frequenta la scuola superiore, meno dell’1% risulta essere iscritto all’università, mentre si riscontra per quasi ognuno di loro una bassa speranza di vita, causata da alti tassi di tubercolosi e di mortalità infantile, dall’impossibilità di accesso ai servizi sociali.

Per tutto il continente, dunque, continuano a camminare i nomadi, un gruppo etnico frammentato da innumerevoli galassie interne non comunicanti fra loro, all’interno delle quali, tuttavia, risuona come elemento comune il fatto di condurre un’esistenza più vicina agli standard medievali degli omologhi gitani del romanzo di Hugo, che non a quelli considerati quali imprescindibili nell’Europa civile dei diritti, un complesso di organi, istituzioni e norme frutto di una comunità di cui i camminanti non si sentono parte e che, dunque, non intendono rispettare. Per loro, infatti, permangono quali peculiarità folkloriche inconfondibili e ineliminabili tre paradigmi fondamentali: la terra come spazio di passaggio comune e non configurabile come zolla su cui l’individuo esercita un rapporto di appartenenza, il denaro come strumento di sussistenza non adibito alla tesaurizzazione e conservazione, la famiglia come struttura clanica.

Nel XXI secolo, d’altronde, si pone quale elemento ulteriormente aggravante una crisi economica di cui non si intravvede la fine, ma per la quale la retorica politica sa offrire ottime vie di reazione: l’incanalamento della rabbia e dell’odio verso i diversi. Si assiste, infatti, al consueto reflusso di ondate di razzismo e xenofobia, che secondo il nuovo rapporto dell’ENAR, il sistema giudiziario penale di 24 paesi dell’Unione Europa non è capace di reprimere, per via di stereotipi razzisti che si insinuano nelle menti delle forze dell’ordine e che non permettono l’adeguata attenzione alla gestione dei crimini di odio, per via delle mancate azioni di denuncia che gli immigrati non preferiscono esperire, terrorizzati dal fatto che la propria fedina penale possa subire conseguenze irreparabili. Così, mentre le vittime della crisi si accrescono in numero e in intolleranza, sino a formare non una minoranza, ma, piuttosto, la maggioranza degli emarginati economici, contrapposta alle minoranze colpite da forme di emarginazione differente, mentre il timore di attentati terroristici è alimentato dai quotidiani titoli di cronaca, mentre il fenomeno migratorio non si arresta, nuove sacche di reietti sono pronte a sedimentarsi, ammassi di esclusi in lotta fra loro.

La ricetta esperita da molti dei personaggi che hanno calpestato gli altari delle cattedrali europee è stata la via dell’occultamento dell’orrendo, così come nascosto sotto i campanili di Notre-Dame è stato il volto di Quasimodo e nei meandri di molte case europee il soggetto disabile e grottesco, oppure la via della minaccia quale ultima forma di comunicazione con il conturbante e il diverso, così come minacciata fu Esmeralda, così come minacciati furono gli ebrei che, nel 1492, per editto di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, dovettero decidere fra la conversione o l’espulsione e, in definitiva, quale strumento risolutivo, la via della distruzione, quella meditata ed eseguita dagli europei del Novecento verso tutti i diversi: rom, ebrei, disabili, omosessuali, slavi, nemici e dissidenti politici di qualsiasi regione e colore. I tentativi di normalizzazione e di integrazione sono, pertanto, da considerare fallimentari, perché intesi quali mere procedure di annichilimento delle contraddistinte specificità di ogni elemento particolare, di soggiogazione del brutto e del cattivo alla ratio europea di bello e giusto, di adeguazione dell’anormale alla regolarità del medio cittadino europeo, l’astratta e dormiente figura che domina tranquilla nelle pagine dei codici nazionali e dei regolamenti europei.
È, invece, con lo spirito dell’inclusione che l’Europa dovrebbe ricostruire Notre-Dame.