Quando l’etica si scontra con gli interessi economici nei rapporti diplomatici

Lo scontro tra Italia ed Egitto continua, con nuovi episodi che talvolta fanno alzare i toni alle due parti. Le ultime vicende riguardano anche Patrick Zaki, lo studente egiziano (che sta svolgendo un Dottorato a Bologna) arrestato «per aver disturbato la pace sociale e aver incitato le persone a protestare contro l’autorità pubblica», venendo definito un pericolo per lo Stato.

I recenti sviluppi sono particolarmente interessanti: dopo l’arresto dei vertici dell’ong per cui lavorava proprio Zaki, non è passato molto tempo perché questi venissero liberati. Diversa la sorte che è toccata invece allo studente 27enne che, dopo mesi di prigionia con annesse torture, ha visto prorogare di ulteriori 45 giorni la sua detenzione. La settimana scorsa il Governo italiano si aspettava importanti novità a breve: a sorpresa si è arrivati alla scarcerazione dei tre dirigenti, a sole due settimane dall’arresto. L’ottimismo per Patrick però si è andato spegnendo man mano che passavano i giorni, con il suo avvocato che alla fine, piuttosto rassegnato, ha confermato l’ennesimo rinvio.

Sempre sul fronte dei diritti umani rimane aperta la questione di Giulio Regeni. I magistrati romani, che hanno rispettato i tempi di chiusura delle indagini, hanno chiesto il processo per i cinque agenti dei servizi segreti egiziani, che sarebbero colpevoli anche di aver depistato le indagini. I pm egiziani non hanno però tardato la risposta: secondo loro le prove raccolte sarebbero insufficienti e, allo stesso tempo, si dichiarano pronti a continuare la collaborazione per perseguire la verità. Decisioni quindi divergenti, che segnano una nuova frattura dopo la ricucitura di fine agosto, con la liberazione dell’avvocato di Regeni.

C’è da chiedersi quanto queste vicende, riguardanti i diritti umani, possano influenzare i rapporti tra i due Paesi, ma anche tra l’Egitto e gli altri Paesi europei, soprattutto dal punto di vista commerciale. Guardando i fatti, non sembra che i due Governi siano stati troppo colpiti dalle tragedie che riguardano singole famiglie: questa estate è stato chiuso un accordo di fornitura di armi, dall’Italia all’esecutivo di Al Sisi, che può arrivare fino a 9 miliardi di euro. Oggetto dell’intesa, rinominata «accordo del secolo», sono alcune fregate, velivoli da addestramento e aerei da combattimento. Prevedibili le polemiche scatenate dalle indiscrezioni giornalistiche sul tema, viste le violenze perpetrate dal Governo egiziano in moltissime occasioni contro attivisti e manifestanti.

Probabilmente, se l’Italia non si fosse aggiudicata la commessa, ci avrebbe pensato qualcun altro: la Francia. Questa settimana, infatti, Al Sisi è stato ricevuto all’Eliseo da Macron, in nome dell’interesse comune di contrastare le ambizioni turche nel Mediterraneo orientale. Macron ha dichiarato apertamente che, seppur critico per la situazione egiziana di mancata tutela dei diritti umani, non condizionerà gli accordi di collaborazione militare e commerciale tra i due Stati. Anche in Francia, come in Italia, le Ong operanti nel campo dei diritti si son mobilitate per protestare contro questi fatti.

Si pone quindi l’eterno problema che contrappone i principi etici a quelli economici, soprattutto se i secondi riguardano diverse migliaia di persone. Intanto, nella più avanzata Europa, si potrebbe iniziare a essere un po’ più coerenti: imporre sanzioni commerciali ad alcuni Stati (come, giustamente, alcuni Paesi dell’Europa dell’est) e tollerare gli stessi comportamenti da parte di altri, solo perché in posizione geopolitica strategica (si vedano ad esempio Egitto e Arabia Saudita), fa perdere di credibilità davanti ai cittadini.