Reddito di cittadinanza: i numeri di un flop

LAnpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro, lo scorso 31 gennaio ha emesso dei dati tutt’altro che rosei a proposito dell’andamento del Reddito di Cittadinanza. Infatti, essi ci parlano di meno di 40 mila persone che hanno firmato un contratto di lavoro dopo essere stati destinatari del RdC fino a questo momento. Esattamente,  si tratta di 39.760 persone, che potrebbero pure apparire come un numero soddisfacente, se non si facesse riferimento alla percentuale che esse rappresentano sul totale dei beneficiari: inferiore al 2%. Da precisare è che i convocati finora dai centri per l’impiego  sono stati 529290, di cui solo 396297 si sono effettivamente presentati. Tra questi presenti, oltre ai suddetti, esigui contratti, sono stati stipulati anche 262738 patti di servizio. Ricordiamo, inoltre, che tra chi gode di questo sussidio figurano anche soggetti come disabili e pensionati per cui, ovviamente, non si prospetta un obiettivo lavorativo.

Potrebbe trattarsi di un timido inizio, di un meccanismo in fase di rodaggio a cui va concesso più tempo prima di essere sottoposto a un giudizio. Si potrebbe attribuire questo risultato (parziale) nettamente deludente all’inefficienza degli uffici di collocamento, a detta di Di Maio stesso prima ancora che il RdC diventasse legge, bisognosi di un rinnovamento per renderli proficui e al passo coi tempi. Ancora, potremmo puntare il dito contro quei più di 100mila fruitori che non si sono palesati nel momento in cui sono stati chiamati per ricevere una proposta o contro quelli che l’hanno rigettata.

La verità, tuttavia, è che, anche se le dinamiche organizzative fossero massimamente perfette, la prospettiva, dal punto di vista occupazionale, non si presenterebbe molto più florida; infatti, l’ISTAT ha stimato che solo 1 beneficiario su 3 potrà effettivamente conquistare il tanto agognato posto di lavoro.

Perché stupirsi? L’istituzione di quest’erogazione monetaria alle fasce più economicamente sofferenti affiancata alla presentazione di proposte d’impiego si sarebbe potuta immaginare come salvifica solo se fossimo stati afflitti da un problema d’incontro tra offerta e domanda di lavoro, ma sappiamo fin troppo bene che la situazione è diversa. La disoccupazione si gonfia perché il nostro tessuto industriale è allo stremo, con imprese che chiudono i battenti poiché strozzate dalla tassazione elevata, dalla concorrenza selvaggia in questo scenario globalizzato, dal calo degli ordinativi, mentre furbetti imprenditori nostrani e multinazionali senza scrupoli eludono il fine sociale delocalizzando.

Quali sbocchi occupazionali si possono, dunque, consegnare nelle mani speranzose di chi momentaneamente tira a campare con quei 780 euro se non si rimpolpa il nostro tessuto economico? Sparuti e, va sottolineato, malpagati, in questo contesto UE dove si riversano le sfide competitive sui salari dei lavoratori.

Perciò, il Rdc, rebus sic stantibus, per i poveri che ne stanno giovando, non può che manifestarsi come una effimera boccata d’ossigeno, non destinata a durare, non finalizzata a un reale cambiamento della loro condizione di vita, poco o nulla incisiva positivamente per l’economia nazionale.