Referendum: perché l’Economist si sbilancia per il «No»

Sta facendo molto discutere l’editoriale dell’Economist pubblicato giovedì: «Referendum costituzionale italiano: perché l’Italia dovrebbe votare “No”». Proviamo a esaminare il discorso del settimanale londinese che per primo aveva definito Berlusconi «unfit» (inadatto, inadeguato) a governare l’Italia. 

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«La riforma costituzionale di Renzi non centra il problema principale, il fatto che l’Italia non vuole riformarsi. Ed eventuali benefici secondari sono controbilanciati da svantaggi, il primo fra tutti è che, cercando di fermare l’instabilità che ha dato all’Italia 65 governi dal 1945, si crei un dittatore eletto. Questo è il paese che ha creato Benito Mussolini e Silvio Berlusconi, ed è un paese che è in modo preoccupante vulnerabile verso il populismo». L’Economist definisce sì «allettante» la riforma, visto che il bicameralismo perfetto «è la ricetta ideale per lo stallo», però bisogna stare attenti.
«I dettagli del disegno di Renzi si scontrano con i principi democratici. Innanzitutto, il Senato non verrebbe eletto: gran parte dei suoi membri saranno nominati dai consigli regionali fra i consiglieri regionali e i sindaci. Regioni e Comuni sono i più corrotti strati del potere, e i senatori avranno l’immunità. Questo potrebbe rendere il Senato una calamita per i peggiori politici italiani». Il rischio è poi che, «cercando di fermare l’instabilità che ha dato all’Italia 65 governi dal 1945, si crei un dittatore eletto. Questo è il paese che ha creato Benito Mussolini e Silvio Berlusconi, ed è un paese che è in modo preoccupante vulnerabile verso il populismo».
A questo si aggiunge che «la lotta per far passare le leggi non è il maggior problema italiano»: «misure molto importanti, come per esempio la legge elettorale possono essere votate anche in un giorno. Infatti, questa legislatura italiana ha promulgato tante leggi quanto gli altri paesi europei». A questo punto il settimanale britannico fa un paragone con la Francia, dove il potere esecutivo è molto forte: se il governo fosse la risposta a ogni problema, la Francia sarebbe un paese fiorente. E nei fatti non lo è.
E cosa accadrebbe poi se vincesse il «No»? «Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe che si teme in Europa», e qui si fa riferimento a un governo tecnico di scopo che potrebbe trainare l’Italia come è già successo in passato. E se la sconfitta del «Sì» al referendum porterà davvero al collasso dell’euro, significa che la moneta unica era così fragile da essere una questione di tempo.