Responsabilità omissiva: sindaci in rivolta dopo gli ultimi casi

«Piove, governo ladro!» recita uno tra i più famosi detti satirici italiani associati alla politica, che si ritiene debba le sue origini ai tempi dei mazziniani, se non addirittura a quelli dell’impero romano.

In ogni caso, l’insofferenza verso la classe amministrativa ha avuto tutto il tempo di radicarsi nell’italiano e nel suo modus vivendi, fino a trovare una sua dimensione nel Codice Penale. A volte i disastri dovuti alla negligenza dei politici giustificano in pieno lo slogan, altre lo tirano in ballo con il significato ironico originario per descrivere derive che profumano d’assurdo.

I fatti di Crema sembrano appartenere alla seconda categoria: un bimbo di quattro anni in carico all’asilo comunale, lo scorso ottobre, ha inserito la mano nel cardine di una porta tagliafuoco e si è ritrovato due dita della mano schiacciate dalla sua repentina chiusura. Per fortuna, il bimbo non ha riportato alcun danno permanente, nonostante abbia avuto bisogno di trascorrere tre mesi in convalescenza.

Arrivando al campo giudiziario, è proprio la lunghezza di tali cure ad autorizzare la denuncia dei responsabili dell’incidente, di cui si accerteranno eventuali negligenze od omissioni nel corso delle indagini. Ma essi chi sarebbero, di grazia? La maestra che teneva l’infante in custodia? Il dirigente scolastico dell’istituto? Il responsabile della sicurezza, se soggetto differente da quest’ultimo? Il tecnico che ha montato la porta o, eventualmente, il responsabile nominato dal comune per l’edilizia scolastica? Figuriamoci: colpevole in ultima istanza, anche in casi fortuiti e imprevedibili come questo, è il sindaco.

Stefania Bonaldi, primo cittadino del centro in provincia di Cremona, ha infatti annunciato in Consiglio Comunale di aver ricevuto un avviso di garanzia in merito alla faccenda delle dita schiacciate, senza nascondere sia l’avvilimento per la vicenda sia la rabbia per l’assurdità della situazione in cui si trova.

A seguito della sua dichiarazione, l’associazione dei sindaci guidata da Antonio Decaro è tornata a farsi sentire per la seconda volta in poche settimane (precedentemente lo aveva fatto per la condanna di un anno e sei mesi inflitta a Chiara Appendino per i fatti di piazza San Carlo del 2017), invocando maggiori tutele legali e una ridefinizione del concetto di responsabilità omissiva, secondo il quale non prendere tutte le precauzioni possibili affinché un evento non si verifichi equivale a cagionarlo.

Tuttavia, tale definizione è fallace, in quanto a evento avvenuto è sempre possibile rilevare qualcosa che poteva essere predetto e profilare una responsabilità omissiva di qualche tipo. Spesso ciò avviene in modo pienamente discrezionale da parte del magistrato incaricato, in quanto non esistono tabelle o criteri certi che fungano da linea di confine tra il razionalmente prevedibile e la sfera di cristallo.

Nel caso Appendino, ad esempio, secondo l’accusa il Comune avrebbe dovuto annullare la proiezione calcolando il rischio dell’uso, fino a quel momento inedito, dello spray urticante da parte dei rapinatori e il conseguente panico generale, mentre Bonaldi avrebbe dovuto vigilare su ogni cardine di ogni porta di ogni edificio comunale, magari ispezionandole di notte. Contestualmente, tuttavia, se un’impresa privata lucra per decenni su una concessione pubblica e taglia sulla manutenzione fino a quando crolla un ponte e ci rimangono secche decine di persone, la faccenda cade nel vuoto ed essa si ritrova pure due miliardi e mezzo di buonuscita.

A questo punto, appare chiaro perché in Italia si trovano sempre meno persone disposte a caricarsi la fascia di primo cittadino sulle spalle. Come dar loro torto: sebbene foriero di onori e privilegi, quasi nessuno sarebbe entusiasta di ricoprire un ruolo che comporta il rischio d’arresto a ogni soffio di vento.