Roberto Marcato: Immigrazione? Un’invasione di clandestini

Roberto Marcato (Castelfranco Veneto, Treviso, 1968), presidente del consiglio comunale di Padova fino allo scorso giugno ed ex vicepresidente della provincia, ora risiede in Consiglio Regionale veneto. Convinto sostenitore della Lega e del sindaco padovano Massimo Bitonci, si è più volte espresso sull’abolizione delle province, contro la costruzione di moschee e in difesa dell’amministrazione padovana nella lotta ai clandestini e agli accattoni. 

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Parliamo di immigrazione. È lecito definirla una invasione?
Assolutamente sì, se per invasione intendiamo l’arrivo incontrollato di persone di cui non conosciamo né il numero esatto, né la provenienza né la destinazione.

Quindi non distinguiamo tra clandestini e richiedenti asilo?
Parliamo più generalmente di migranti. La distinzione deve essere fatta dal governo con le apposite commissioni, le quali fanno tutte le valutazioni del caso e per poi dare lo status di rifugiato. Il problema è che la commissione è troppo lenta quindi abbiamo nelle nostre strutture coloro che chiamiamo «profughi», che in realtà sono per lo più clandestini: i numeri parlano di 8 clandestini su 10.

Il papa si è mostrato preoccupato dall’Isis, lei cosa ne pensa?
Guardi, il dramma della Lega sta nel fatto che noi, essendo molto vicini al popolo, anticipiamo i tempi. Quello che noi diciamo viene sempre percepito come deriva xenofoba, razzista, irrazionale ma dopo qualche tempo si capisce che in realtà la nostra era l’ unica visione possibile. Il pericolo che l’Isis arrivi attraverso i barconi noi l’abbiamo detto tempo fa. Sono mesi, se non anni, che diciamo che i terroristi possono arrivare coi barconi. Si vada a vedere la rassegna stampa di uno o due anni fa quando noi dicevamo che è inutile rivolgersi all’Europa perché l’Europa non esisteva su questo tema. E infatti ha dimostrato tutta la sua pochezza. Ci dicevano che eravamo ideologicamente anti-europeisti. Oggi il papa dice quello che dicevamo noi qualche mese fa, ed esponenti di spicco dell’estrema sinistra italiana oggi dicono che l’ Europa ha dimostrato tutta la sua inutilità di fronte a temi di politica estera come questi.

Quali potrebbero essere dunque le soluzioni contro il terrorismo?
Innanzitutto è un problema culturale. Non possiamo pensare di sconfiggere il terrorismo con l’acquasanta, con gli aiuti, decidendo che la nostra civiltà verrà via via smantellata. Non possiamo sconfiggerlo nemmeno cercando di smantellarlo con qualche drone, per far contento qualcuno, perché non ha nessuna utilità. Possiamo pensare ad un attacco frontale di tipo militare, ma in tal caso sappiamo quando la guerra inizia ma non come andrà a finire. Io sono convinto che la via migliore sia culturale: la nostra cultura, la nostra anima sta arretrando di fronte ad una cultura forte come quella islamica. Dobbiamo riprendere la nostra grande tradizione occidentale, perché è quella che oggi sta dando stabilità, diritti umani e democrazia, cosa che l’Islam non sta facendo. Poi, dobbiamo smettere di costruire l’Islam «a nostra immagine e somiglianza»: l’Islam moderato è solo una categoria culturale nostra, ma in realtà non esiste. Lei mi sa dire se esiste un paese musulmano che sia considerato democratico come lo consideriamo noi, in cui i diritti siano rispettati, le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini, dove ci siano le stesse possibilità per tutti, dove non ci siano distinzioni di razza, appartenenza etnica, religiosa e politica? Non esiste! Allora dobbiamo porci il problema che forse la sovrapposizione tra politica e religione, ovvero la shari’ah, diventa un elemento di contrasto. La via per contrastare il terrorismo è quella di riprenderci la nostra cultura. Faccio un esempio: quando la reporter ha fatto lo sgambetto al migrante che stava scappando tutto il mondo occidentale si è scandalizzato. Di per sé è un fatto da condannare. Però nei paesi islamici, dove sgozzano i bambini come capre, dove le donne sono mutilate e lapidate, dove delle bambine piccole vengono rapite e violentate, dove Boko Haram decide chi deve vivere e chi deve morire, dove l’Iais brucia vivi i cosiddetti «infedeli», non c’è la sollevazione del popolo. Allora se una reporter fa uno sgambetto tutti si sollevano, ma per tutti gli altri fatti stanno tutti zitti. Le ricordo che Al-Jazeera due mesi fa ha fatto un sondaggio ai suoi telespettatori, chiedendo se fossero d’accordo sulla conquista da parte dell’Isis della Siria e dell’Iraq. L’81% dei telespettatori ha risposto di sì.

D’altronde il mondo occidentale si è scandalizzato perché, proprio come diceva lei, qui possono essere garantiti certi valori di libertà, democrazia…
No, è solo per la paura atavica che ha l’occidente di ferire la sensibilità degli altri, delle altre culture; noi abbiamo un senso di colpa storico perché abbiamo conquistato quei paese con le colonie e le multinazionali. Noi dobbiamo smettere di essere così stupidi di fronte alle altre culture, dobbiamo rialzarci, rimettere la schiena dritta.

A proposito di colonie e multinazionali; nella nostra intervista a Massimo Fini, il giornalista afferma che c’era da aspettarsi quest’ondata migratoria così imponente, causata proprio dall’Occidente, che ha dato alle popolazioni africane armi e ha portato in quei territori dei metodi di coltivazione inadatti. Cosa ne pensa?
Sono assolutamente in disaccordo. Vorrei ricordare a Fini che abbiamo avuto due guerre mondiali devastanti pochi decenni fa; guerre che hanno raso al suolo molte parti d’Italia tra cui il Veneto. La gente moriva di fame e c’erano contrasti feroci a livello sociale. Dopo 30 anni il Veneto si è rialzato ed è diventata la prima economia europea: oggi abbiamo un Pil simile a quello della Baviera. Un popolo deve avere anche la capacità di rialzarsi. Queste popolazioni devono autogestirsi e autosollevarsi; cosa manca a queste popolazioni? Ci sono nazioni africane ricchissime di materie prime – certo ci sono i dittatori o le multinazionali che le sfruttano, ma è un problema loro. Perché chi scappa dalla guerra o dalla fame non va nei paesi africani ricchi ma viene in Europa? Se noi veneti avessimo svuotato le nostre campagne e ci fossimo limitati a dire quanto eravamo sfortunati, tra guerra, fascismo, deportazioni, oggi il Veneto sarebbe fermo a 50 anni fa. Le risulta che il Veneto abbia diamanti, petrolio, oro? Non aveva niente. Aveva la pellagra, e dalla pellagra oggi siamo la prima economia d’Europa. Questi popoli devono risollevarsi da soli e non devono aspettare l’occidente, altrimenti questo gli impianta le multinazionali. Se dessimo aiuti economici all’Africa a chi dovremmo affidarli? Ai dittatori?

Lei a gennaio, a proposito dei responsabili della strage a Charlie Hebdo, disse: «Questi terroristi dobbiamo metterli a pane, salame di maiale e gli facciamo pure leggere il Vangelo. Poi una volta che prendiamo questi tre signori, non mettiamoli in carcere, questi ci devono dire tutto: in questi casi bisogna usare la tortura! ». È davvero una soluzione?
No, l’unica soluzione contro il terrorismo è quella che le dicevo prima: riprenderci la nostra anima, rimettere la schiena dritta con le nostre tradizioni e le nostre culture. È un processo lungo ma è l’unica via possibile. Se usiamo la forza fisica, vincerà il più forte, ma non è detto che siamo noi. Le frasi che lei ha citato riguardano la gestione che deve attuare la polizia per i terroristi. Lo strumento della tortura, che è appunto uno strumento di polizia (non politico né culturale) è legittimo per far parlare una persona se questa sta minando la sicurezza di un paese o per sventare un attacco terroristico. La vittoria contro il terrorismo non si ha né con i droni, né con le bombe, né con gli aerei, come vuole la Francia. La storia ci dice che senza le truppe le guerre non si vincono, ma oggi, visto che nessuno vuole mettere a repentaglio delle vite umane, si mandano i droni o gli aerei, ma non servono a niente. Sono tutti elementi virtuali: la gestione dell’accoglienza è virtuale (la Merkel apre le frontiere ma dopo due giorni le chiude, come la Francia e l’Inghilterra, che si vanta di essere un paese democratico ma poi non vuole nessuno, nemmeno gli italiani se non lavorano), così come la gestione del terrorismo. Siamo impreparati perché il problema è culturale.