Salvini, Saviano e la sacralità della libertà d’espressione

«Perché vi nascondete? Scrittori e medici, attori e youtuber: tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo in questo paese mi sta bene».

Così esordisce oggi Roberto Saviano, scrittore napoletano che da anni vive sotto scorta in seguito alle minacce di morte ricevute dal Clan dei Casalesi.
Si riferisce a ciò su cui in questo Pese stanno dibattendo tutti: xenofobia, migrazioni, governo giallo-verde, ma soprattutto Matteo Salvini.
La querelle tra il Ministro dell’Interno e lo scrittore, infatti, ha oramai raggiunto toni inaccettabili per ciò che dovrebbe essere un dibattito pubblico, arrivando  agli insulti di uno ed alle minacce di ritorsioni personali dell’altro.
Saviano avrebbe accusato Salvini di essere il «ministro della malavita», (citando un celebre scritto di Gaetano Salvemini, che usò questa espressione per criticare Giovanni Giolitti) a seguito delle dichiarazioni con le quali il neo Ministro dell’Interno si chiedeva se la oramai arcinota scorta di Saviano fosse ancora utile, arrivando addirittura a paventarne la rimozione.
Da tutto questo nasce poi la querela di Salvini allo scrittore, la quale si basa sulle accuse di essersi comportato da «bandito» nella gestione del caso «Aquarius”, sulla citazione salveminiana e sull’affermazione che egli avrebbe un’attenzione spasmodica contro gli immigrati in Calabria, dimenticando in sostanza la ‘Ndrangheta.

Se è vero che i toni usati dallo scrittore napoletano sono al limite del reato di diffamazione e su questo deciderà la magistratura, ciò che non si può ignorare è la violenza reale e psicologica che Salvini, in qualità di Ministro, sta portando avanti.
Partiamo dall’inizio: la rimozione della scorta.
Può una delle più importanti cariche dell’esecutivo minacciare ritorsioni personali nei confronti di un personaggio che ha la sola colpa di essere in opposizione al suo operato?
La risposta è semplice: no.
Salvini, che ne è consapevole, sceglie le sue parole con estrema attenzione, nascondendo la minaccia dietro ad un fumoso «Valuteremo come vengono spesi i soldi degli italiani», riuscendo in questo modo ad aizzare l’opinione pubblica contro lo scrittore.
Questo è semplicemente inaccettabile, perché, in virtù delle «promesse» dei Casalesi, costituisce una vera e propria minaccia di morte.

In secondo luogo, anche la decisione di querelare Saviano in qualità di Ministro dell’Interno appare fonte di perplessità enormi.
Se è vero infatti che Salvini ha ogni diritto di tutelare la propria posizione giuridica soggettiva, lo è altrettanto che facendolo su carta intestata del Viminale dichiara implicitamente la volontà politica di un intero governo, di richiedere alla magistratura di agire contro un soggetto che esprime dissenso nei confronti del suo operato.
Cosa che mette in allarme ogni libero giornalista e lo porta a domandarsi come potrebbe svolgere la sua attività di inchiesta/denuncia nel caso in cui il suo Paese non tuteli più il diritto d’opinione.
Quella che il Ministro sta richiedendo, infatti, non è null’altro che una censura.
Il terzo fattore di rischio in questa vicenda, invece, consiste nella campagna di odio che Lega ed alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle stanno portando avanti nei confronti dello scrittore.
Intendiamoci, non sentiremo mai un personaggio come Salvini inveire pubblicamente contro Saviano, questo perchè al leader politico del carroccio va senz’altro attribuita una capacità di comunicazione eccezionale.

Ciò che sta accadendo serpeggia in una sorta di background. Salvini (e come lui altri esponenti dei partiti succitati), attaccando Saviano, con termini come «buonista», ritenendo che la sua scorta sperperi denaro pubblico e additandolo come «personaggio che vive in un attico a New York» crea una sorta di divisione che va oltre la mera politica e si posiziona invece sulla lotta di classe.
Sostanzialmente, forma una spaccatura nell’opinione pubblica che trasforma il dibattito in uno scontro tra noi, cittadini umiliati che paghiamo le tasse, e lui, personaggio che ha guadagnato i milioni (lecitamente, peraltro), e che dunque, in virtù del fatto di avere un buon reddito, non avrebbe necessità di alcuna protezione statale.

Assurdo. Questo è però il più grande successo di Lega e Movimento 5 Stelle, ovvero essere riusciti a conquistare il potere andando oltre la politica e spostando il dibattito in una sorta di divisione tra ultras.
Sembra pazzesco, ma la politica in Italia è ridotta a questo: uno scontro tra tifoserie nel quale chi urla e inveisce più forte vince.
Concetti come serietà, preparazione, competenza hanno lasciato il posto alla fomentazione delle masse, alle sparate più assurde e irrealizzabili, all’individuazione perenne di un nuovo nemico del popolo al giorno, sia questo un giornalista, un’ideologia politica, un’etnia o una religione.
Stiamo vivendo tempi bui, nei quali anche la democrazia per come la conosciamo potrebbe correre dei rischi non indifferenti: ecco perchè chiunque si proponga di esercitare il mestiere di cronista/blogger/giornalista non dovrà mai arretrare di un millimetro e non dovrà assolutamente cedere ai ricatti, ma semmai rimanere ben saldo, arroccato a strenua difesa del proprio diritto di libertà di stampa e di espressione.
Ecco perchè, nello scontro tra un intero governo ed una singola persona (minacciata ed insultata) che ha esercitato il suo sacrosanto diritto di critica, fino a quando la magistratura non si sarà espressa ed in virtù della presunzione di innocenza, è logico schierarsi per la parte più debole.