Senza arroganza Dibba se ne va, ma M5S ora è più povero

La decisione di Alessandro Di Battista di non ricandidarsi alle prossime politiche non è un fulmine a ciel sereno. Lo aveva già preannunciato nel 2014 quando disse che se la legislatura fosse arrivata a regolare termine nel 2018 non si sarebbe ricandidato. In pochi lo hanno considerato anche perché, come spesso (sempre) accade, è vezzo dei politici preannunciare una loro uscita dalla scena politica che poi, puntualmente, non avviene. Bomba Renzi e Miss Simpatia Boschi sono solo gli ultimi di tanti possibili esempi («Se perdo il referendum vado a casa» cit.). Infatti, di solito, funziona così: quasi fosse una minaccia di morte i politici preannunciano il loro ultimo respiro in caso di sconfitta, come per dire: «Badate bene di votarci perché altrimenti ce ne andiamo e voi rimanete fottuti», con annesse megalomania, boria e presunzione. Quasi fossero loro fossero il motivo del nostro senso civico al momento del voto. Poi quando perdono, perché rigorosamente perdono, frignano un pochino, fingono (quando va bene) un’autocritica e poco dopo tornano sulla scena, arrembanti e con la faccia come il culo.
Di Battista, però, lo ha fatto veramente, senza minacce, senza arroganza e soprattutto senza perdere: ha scelto di vivere, di uscire pulito da un palazzo marcio, pieno di compromessi e favori. Dibba ha scelto di non diventare come la maggioranza di quelli che lo hanno circondato per cinque anni. Non è mai sceso a compromessi, ha sempre rispettato prima di tutto sé stesso e il valore delle sue idee e, probabilmente, per rimanere pulito e libero fino alla fine, ha capito che l’unica cosa che poteva fare era proprio quella di non ricandidarsi, nonostante sia il più celebre esponente del Movimento 5 Stelle, quello che la maggioranza degli elettori grillini avrebbe voluto come candidato premier.
La scelta di Di Battista va, anzitutto, contro i suoi interessi. Un posto in Parlamento, per quanto uno si possa tagliare lo stipendio, è un ruolo di prestigio, importante, ricco di benefici e privilegi. A tutto questo Dibba ha preferito una strada più difficile e insidiosa, ha scelto di cambiare mestiere, pur di essere libero, ha deciso di riprendersi in mano la vita che in questi cinque anni è cambiata così tanto da non sentirla più sua. Per questi motivi l’azione di Di Battista, oltre che essere da rispettare (ci mancherebbe), assume un valore più alto. È la decisione di una persona vera che desidera non galleggiare in un mondo che non sente il suo e sceglie di seguire quelle che sono le sue passioni, nonostante queste possano essere percorse su strade tortuose, difficili e non senza ostacoli.
Il fatto che Di Battista non si ricandidi ha avuto due ripercussioni importanti: la prima sulla classe politica e la seconda sul Movimento 5 Stelle. L’imbarazzo dei politici è stato enorme, un collega che non si ricandida li mette in difficoltà, è incomprensibile per loro che sono i primi a cercare, in tutti i modi, di essere rieletti, e l’evidente disagio che hanno provato nel commentare Di Battista è comprensibile.
La seconda ripercussione riguarda il Movimento 5 Stelle. Senza Alessandro Di Battista il Movimento è più povero, perde il leader più carismatico e più amato. Nonostante Dibba dica di sostenere il Movimento da fuori, non può essere considerato uguale a prima e, durante la prossima legislatura, la sua assenza peserà parecchio.