Si impari da Lucano, un buon sindaco

Se è vero quel che dice la sentenza di Cassazione uscita pochi giorni fa su Mimmo Lucano allora si deve riconoscere che, al di là del personaggio, il sindaco di Riace è stato un buon amministratore. Da sindaco di un paese in declino ha fatto quel che secondo lui andava fatto per rilanciarlo. Certo le sue scelte possono essere criticabili, ma non si può negare il fatto che abbiano avuto un certo successo. Ha saputo unire due grandi debolezze e farne un punto di forza. La prima debolezza era di livello locale: a Riace c’erano infatti un mucchio di case abbandonate che stavano cadendo a pezzi perché il paese era in via di spopolamento. La seconda debolezza invece era di livello nazionale: tantissimi migranti fatti sbarcare ma pochissime città disposte ad accoglierli. L’idea è stata accogliere queste persone per ripopolare il paese rimettendo a posto le abitazioni e al contempo creare piccoli laboratori e botteghe artigianali per attirare turisti e dare una nuova immagine al paese. Cosa che funzionò grazie anche a un certo interesse mediatico e politico. Per queste cose si deve riconoscere che Lucano è stato un buon sindaco e quindi sbaglia una certa destra a vedere in lui qualcosa di totalmente negativo. L’accoglienza diffusa di Riace è certamente molto più efficace, efficiente e soprattutto sicura rispetto all’accoglienza del Cara di Mineo, per fare un esempio.

Il grosso problema però è che una certa sinistra intellettualoide (un nome fra tutti, Saviano) ha voluto vedere in questa soluzione amministrativa una soluzione politica. L’evidenza empirica, la prova definitiva di come l’accoglienza sia non solo possibile, ma addirittura vantaggiosa per l’intera comunità e di conseguenza di come l’immigrazione irregolare non sia un problema. L’errore è nel non capire che il modello Riace non è un modello, o meglio, lo è, ma non è solo quello. Più che tutto è un brand, un marchio e, come tutte le griffe, si vendono bene solo quelle originali. Non le copie. Non è oggettivamente pensabile che si possa riprodurre in tutta Italia quel che è stato fatto a Riace. Non avrebbe lo stesso effetto: immaginatelo a Tor Bella Monaca o nella periferia di Milano. Pensate che un modello simile possa funzionare in posti simili? Come tutte le griffe poi ha bisogno di un ottimo marketing: è bello ad esempio presentare le famiglie di migranti che mantengono, coi loro figli, il numero che fa sì che le scuole restino aperte ma i dati nazionali sull’immigrazione dicono un’altra cosa: la stragrande maggioranza dei migranti sono maschi. Non numerose famigliole. Che si fa con questi? Infine, il dato più evidente: tutte queste ottime iniziative funzionano soltanto perché ricevono fondi dallo stato, cioè con i soldi delle tasse che noi tutti paghiamo. Maestre, mediatori culturali, lavori per ristrutturare le case. Tutto ciò è pagato da noi.  Se non fosse così questo castello di carte crollerebbe perché non sarebbe economicamente sostenibile. Tutto è quindi fatto a debito.

Con questo non si vuole dire che è sbagliato, anzi. Ciò semmai è la dimostrazione evidente di come le cose funzionino laddove è lo Stato a intervenire, anche ricorrendo al famigerato debito pubblico. Se funziona con gli immigrati perché non potrebbe con tutti gli italiani? Paradossalmente chi dovrebbe imparare da modello Riace sono le persone che più lo difendono, come la Bonino.