Si riverserà in acqua il trizio di Fukushima: reazioni a confronto per farsi un’idea

Alle 14:46 dell’11 marzo 2011, esattamente dieci anni fa, a 70 chilometri della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, si verificava una scossa di terremoto di magnitudo 9, il sisma più potente mai misurato in Giappone e il quarto a livello mondiale. Il terremoto, il cui ipocentro era situato in mare alla profondità di 29 chilometri circa, provocò l’innalzamento del livello dell’oceano Pacifico di oltre un metro e innescò un violentissimo tsunami con onde alte fino a 15 metri. L’acqua travolse tutto quello che incontrava, compresa la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, mettendo fuori uso i gruppi di generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento di tre dei suoi quattro reattori: di conseguenza, i noccioli in essi contenuti si fusero e innescarono diverse esplosioni dovute alla fughe di idrogeno, che distrussero parzialmente la struttura.

Sebbene nessuno sia morto a causa delle radiazioni dirette provenienti dalla centrale semidistrutta, si stima che siano stati riscontrati 1.600 decessi causati dallo stress dell’evacuazione, dallo stress post-traumatico e altri decessi avvenuti a causa delle conseguenze indirette del disastro che ancora oggi sono difficili da quantificare.

Quello di Fukushima resta uno dei più gravi incidenti nucleari della storia dopo Chernobyl del 26 aprile 1986 ed è l’unico insieme a quello di Chernobyl a cui sia stata assegnata la massima classificazione nella scala INES (International Nuclear and radiological Event Scale), il livello 7.

In questi giorni il Giappone ha annunciato che tra circa due anni rilascerà nell’Oceano Pacifico più di 1 milione di tonnellate di acqua contaminata dalla centrale nucleare distrutta di Fukushima, scatenando le proteste di ambientalisti, pescatori, nonché degli Stati vicini, Cina e Corea del Sud.

L’acqua di raffreddamento dei reattori della centrale di Fukushima è stata infatti contaminata da radiazioni durante l’esplosione di questi ultimi e ha iniziato a fuoriuscire, l’acqua radioattiva accumulata è stata poi immagazzinata nei serbatoi dell’impianto di Fukushima Daiichi dalla data del disastro nel 2011 e trattata per la rimozione dei materiali radioattivi.
La drastica decisione del Giappone è stata presa poichè la capacità di stoccaggio dell’impianto di immagazzinazione delle acque contaminate, pari a 1,37 milioni di tonnellate, sarà raggiunta nell’autunno 2022, le autorità hanno dunque deciso di smaltire il liquido presente nei 1.020 serbatoi (che attualmente ne contengono 1,25 milioni di tonnellate).

Il Giappone sostiene che il trattamento delle acque contaminate ha permesso la rimozione di tutti i materiali radioattivi a parte uno: il trizio.
La presenza del trizio nelle acque trattate è così giustificata dagli esperti: «Il trizio è dannoso per gli esseri umani solo in grandi dosi e con la diluizione l’acqua trattata non presenta rischi scientificamente rilevabili»; inoltre «C’è consenso tra gli scienziati sul fatto che l’impatto sulla salute è minuscolo», ha detto Michiaki Kai, un esperto di valutazione del rischio di radiazioni all’Università giapponese di Oita di scienze infermieristiche e sanitarie, all’Agence France-Presse prima che la decisione fosse annunciata.

Nonostante le dichiarazioni del Giappone, Paesi come la Cina e la Corea del Sud, i pescatori locali e gli ambientalisti hanno manifestato la loro contrarietà rispetto a tale decisione poiché nessuna di queste parti è stata direttamente coinvolta dal Governo nipponico nella discussione della problematica.

Koo Yun-cheol, Ministro sud coreano per il coordinamento delle politiche, ha dichiarato: «La decisione del governo giapponese è totalmente inaccettabile. Pianifichiamo di richiedere una condivisione trasparente delle informazioni reali sulla situazione delle acque e un accertamento su scala internazionale del processo di trattamento complessivo di queste».

Anche il Ministro degli affari esteri cinese Zhao Lijian ha denunciato il piano d’azione giapponese dichiarando: «Questo approccio è estremamente irresponsabile e danneggerà seriamente la salute e la sicurezza pubblica internazionale e gli interessi vitali dei popoli dei paesi vicini».

I funzionari giapponesi hanno obiettato alle descrizioni dei media dell’acqua come «contaminata» o «radioattiva» insistendo che fosse descritta come «trattata», ma Shaun Burnie, specialista nucleare senior di Greenpeace Asia orientale, ha detto che questa affermazione è «chiaramente falsa poichè se non fosse contaminata o radioattiva, non avrebbero bisogno dell’approvazione (per il rilascio) del regolatore nucleare giapponese. L’acqua nei serbatoi è effettivamente trattata, ma è anche contaminata da radioattività. Il governo giapponese ha cercato deliberatamente di ingannare su questa questione, in patria e all’estero».

Dal punto di vista ecologico, l’oceano, non potendo disintegrare elementi radioattivi come il trizio, li rende mobili, cioè in grado di passare all’interno delle microalghe e di innescare conseguenze in vari tipi di pesci e micro-organismi marini. Inoltre non bisogna sottovalutare il sistema di circolazione delle correnti marine e oceaniche, le quali, partendo dal Pacifico, sfiorano le coste del Giappone e riportano attraverso l’Atlantico (corrente del Golfo) tutti gli elementi e i materiali tossici direttamente in Europa e nel Mediterraneo intaccando pesantemente l’ecosistema marino e la salute delle future generazioni.

Alla luce della giornata internazionale della Terra che celebra la natura e l’ambiente in cui viviamo e di cui sfruttiamo le risorse, dovremmo chiederci se un ulteriore coltellata inflitta al nostro Pianeta, in particolare agli oceani, un ecosistema già fragile e colpito da tutte le forme possibili di inquinamento, è forse la sentenza che ci siamo arresi all’irreversibile fallimento delle azioni umane per salvare l’ambiente, o forse un’occasione per creare ulteriore dibattito, spinta propositiva al cambiamento e alla ricerca di una soluzione più ecologica.