Storia delle bombe di mafia: il fallito attentato all’Olimpico

di Team Turing: Tito Borsa e Simone Romanato
Supervisione di Tito Borsa

Quarta puntata

 

Nella sentenza di primo grado sulla Trattativa la Corte di Assise di Palermo si interroga su quello che accadde il 23 gennaio 1994. 

Allo Stadio Olimpico della Capitale è in programma Roma-Udinese. Alla fine della partita lo studente di Medicina già autore della strage di via dei Georgofili Salvatore Benigno, u Picciriddu, è pronto a far saltare in aria un centinaio di Carabinieri che si stanno occupando della sicurezza allo stadio. 

Ma non succede nulla. Il telecomando non funziona. Benigno, insieme al braccio destro di Giuseppe Graviano, Gaspare Spatuzza, si fa prendere dal panico e fugge in direzione Palermo. Il problema è che scappando i due perdono a Monte Mario, da dove si aspettavano di assistere all’esplosione, le chiavi dell’auto imbottita di tritolo che era nei pressi dell’Olimpico. 

Cosa fare? Replicare l’attentato? No. Far esplodere la macchina di notte, così da non fare vittime? Nemmeno. I vertici di Cosa Nostra, viene ricostruito nella sentenza Trattativa, fanno una scelta apparentemente folle e insensata: mandano dei gregari a portare via l’auto, inizialmente a mano, davanti agli sguardi increduli dei Carabinieri in servizio alla caserma vicino all’Olimpico. Alla fine trasportano la macchina con un carro attrezzi, tolgono il tritolo e la distruggono da uno sfasciacarrozze. Il senso è chiaro: basta morti, ma anche basta attentati senza vittime. La domanda sorge spontanea: perché? Che cosa è successo?

Continua…