Il suicidio, lungo o istantaneo, come costante nella musica

Dopo «One More Light», si spegne una stella luminosa della band dei Linkin Park.
Il 41enne Chester Bennington, il cantante del gruppo hard rock, si è suicidato impiccandosi il 20 luglio nella sua casa di Los Angeles.
La musica, di cui aveva fatto la sua vita, era riuscita a donargli uno scopo, a dargli motivo di vivere, come egli stesso aveva dichiarato in un’intervista a Rock Sound. Ma, come molti altri prima di lui, non è bastata a salvarlo. Alle spalle, una storia travagliata: molestato da un amico quando era ancora ragazzino, ha abusato di alcolici e droghe, ha vissuto un acuto periodo di depressione.
Non si parla di certo del primo suicidio in ambito artistico, in particolar modo nell’ambiente musicale. A partire da semplici fenomeni del momento, meteore passeggere dello scenario musicale, a veri e propri idoli intergenerazionali, questi artisti suicidi hanno alle spalle alcune costanti: la capacità di esprimere ideali, disagi ed emozioni di intere generazioni nel pubblico, storie travagliate nel loro passato autobiografico, episodi di crisi depressive, abusi di sostanze. Da queste costanti derivano personalità sensibili e fragili.
Per suicidio non intendiamo solo un atto violento definitivo: per molti il processo è stato più lungo, costellato da un logoramento continuo, come scelte di vita dannose che li hanno portati alla morte. Moltissimi non raggiungono nemmeno la soglia dei trent’anni. Kurt Cobain, Amy Winehouse, Jim Morrison, Jimi Hendrix.
Una serie di comportamenti rischiosi perpetuati nel tempo, come l’abuso di droghe, alcol, abitudini alimentari o sessuali a rischio. Tutto ciò costituisce una serie di ripetute sfide a tutto e a tutti, atteggiamenti nei confronti della vita spesso derivanti da episodi passati traumatici, che portano a vivere nella rabbia e nella paura.
Possiamo solamente immaginare per sommi capi cosa abbia spinto queste celebrità a porre fine alla propria vita. La costante del suicidio dell’artista è un campo d’indagine ancora troppo vasto per poterne parlare con esattezza. Sappiamo tuttavia che mettere a nudo le proprie profondità, modellando la propria vita sulla creatività e l’immaginazione, ma anche sugli aspetti d’ombra, ha condotto molti di loro verso una morte precoce, più o meno consapevolmente, per mano propria. Forse la loro morte è per loro fonte di ancora maggior successo, a causa del tam tam mediatico a cui si viene sottoposti con notizie simili. Ciò di cui siamo certi è che nessuno di loro, nemmeno Bennington, che è solo l’ultimo dei casi recenti, avrebbe preferito non dover arrivare a superare quel limite da cui non si torna indietro, da quella che Jim Morrison cantava come «This is the end, my only friend, the end…».