È la società a renderci sessisti e misogini

Con l’avvicinarsi della giornata dell’8 marzo, riconosciuta come festività ufficiale della Giornata internazionale della donna si riapre una piaga sociale e culturale che ha radici ben più radicate di una semplice giornata: la questione della disuguaglianza tra maschi e femmine.
Di origini risalenti pressoché all’alba dei tempi, delle quali non ci dilungheremo a lungo, parrebbe interessante vedere come stereotipi, pregiudizi, preconcetti e discriminazioni possano persistere ancor oggi e quanto siano in realtà radicati. Chiamando in campo un sociologo francese, Pierre Bourdieu (in foto), il quale ci dice che la cultura è il nostro habitus, vale a dire una sorta di seconda pelle di cui facciamo fatica in primis ad accorgercene e, di conseguenza, a distaccarcene, vanno ricercate le cause della discriminazione della donna nella cultura stessa di appartenenza.
Elena Gianini Belotti, nel suo saggio Dalla parte delle bambine, evidenzia l’influenza dei condizionamenti sociali (cultura ed educazione) nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita che vanno poi a protrarsi sia nella figura adulta stessa che nell’immaginario collettivo, alimentando e rinforzando i valori, le credenze e le norme che culturalmente si impongono all’interno del gruppo sociale (nel caso specifico, l’autrice prende in considerazione l’ambito italiano).
A livello culturale, in generale, l’intervento è apportato nel nell’indovinare il sesso del nascituro, attribuendo di conseguenza il rosa alle bambine e il celeste ai bambini, nella scelta dei giocattoli differenti in base al sesso e nello stile ludico stesso (se una bambina indossa colori ritenuti interni al range maschile o dei giocattoli il problema non si pone in maniera drastica, mentre se ad un maschietto vengono dati da indossare colori o strumenti di gioco tipicamente riconosciuti come femminili, la cosa crea non poca sorpresa o sgomento, suscitando spesso una serie di commenti ed osservazioni decisamente di carattere sessista o, nei casi più gravi, denigratorio verso la futura sessualità ritenuta deviata del piccolo).
Fin dall’attesa del figlio, dunque, la questione si fa drastica: vi è una preferenza verso il maschio perché porterebbe valore alla famiglia e continua la generazione portando il cognome ad eventuali figli. Alla nascita i bambini sono affidati alle cure materne, che li cresce secondo schemi stabiliti dalla società: le bambine cresceranno a immagine e somiglianza della madre, mentre i bambini invece riceveranno le massime cure e attenzioni perché devono crescere robusti e sani. Verso i tre anni i bambini prendono coscienza del proprio sesso: Belotti intervista molte bimbe di quest’età, le quali manifestavano la volontà di essere maschi poiché oppresse dalla loro condizione di inferiorità imposta loro socialmente. L’ordine, in caso di comportamenti devianti dalla norma, viene stabilito attraverso azioni di repressione dei comportamenti non adatti attraverso la punizione ed umiliazione verbale («Comportati come una signorina!», «Non fare così, sei forse un maschiaccio?»). Attraverso l’imitazione, ossia la ripetizione di comportamenti messi in atto da altri, e con l’identificazione, identificarsi in un altro per essere come lui, guidata da forte legame affettivo (modello materno), la bambina si omologa al modello culturale imposto, che rimetterà in discussione solamente avanzando con l’età, in fase adolescenziale.
È inoltre tipico dell’età il cominciare a rendersi conto delle differenze anatomiche, cosa che diviene un altro elemento di frustrazione per le femmine, che si sentono ancora una volta inferiori a causa di quel «qualcosa in più» che i maschi possiedono.
Come sopracitato, le differenze divengono abissali anche nelle scelte ludiche, ma non solo.
Gioco è riconosciuto come l’elemento più importante nella crescita del bambino. I giochi sono scelti in base al sesso e alla cultura di appartenenza: i giochi «neutri» non vengono inizialmente considerati perché è impensabile che un maschio possa giocare con gli stessi oggetti di una bambina e viceversa.
Durante i giochi è possibile riscontrare la realtà sociale imposta all’immaginario infantile, che vede i maschi impegnati in attività fisiche, spesso di imitazione di modelli maschili visti alla Tv, mentre le femmine riproducono situazioni casalinghe, relegate ad attività che non richiedono particolare sforzo fisico.
Anche la letteratura e la Tv contribuiscono a differenziare i sessi facendo prevalere quello maschile: nelle avventure i maschi sono preferiti come protagonisti rispetto alle femmine (ruolo subordinato), i maschi compiono attività eccitanti e interessanti. Anche nel caso di eroine femmine, spesso queste devono chiedere l’aiuto di uomini per risolvere il problema. I libri e la televisione, che dovrebbero aiutare ad abbattere i pregiudizi, li confermano.
Parte della riflessione è supportata dal saggio di Elena Gianini Belotti, che vorremmo citare in conclusione a quella che vuole essere non una scimmiottante polemica femminista, né al solito grido vittimistico, in quanto nessuno dei due risulterebbe utile allo scopo informativo dell’articolo: «La critica alle donne contenuta in quest’analisi non vuole essere un atto d’accusa, ma una spinta a prendere coscienza dei condizionamenti subiti e a non trasmetterli a loro volta, e contemporaneamente a rendersi conto che possono modificarli», bisogna «restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che più gli è congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene». Le donne continueranno sempre ad essere vittime se continuiamo a trattarle come tali, e non semplicemente come persone, quali sono, a cui non andrebbe mai negata alcuna possibilità.