Testimonianza dall’India: «Qui manca tutto e la Polizia percuote chi gironzola senza motivo»

Nirmal ha 32 anni. Vive in India, nello stato del Rajasthan, nei pressi di Jaipur.

«In India tutto ha avuto inizio il 22 marzo», esordisce l’uomo, «Quando il primo ministro, Narendra Modi, per la prima volta ha chiesto a tutta la nazione un giorno di coprifuoco». Il Premier ha, infatti, imposto a tutta la popolazione di rimanere a casa dalle 7:00 alle 21:00, in quella che si è strutturata come una prova generale di lockdown. Nirmal si lancia in una piccola riflessione sociologica a proposito: «Interessante capire perché gli indiani accettino di rimanere a casa quando l’India ha un gran numero di persone che non sono istruite: è tutto merito della buona influenza del nostro Primo Ministro». Infatti, spiega, l’iniziativa del 22 marzo ha avuto molto successo.

Il Presidente, però, ha anche sortito indirettamente l’effetto contrario, secondo il giovane indiano. In alcune zone, improvvisamente, il numero di infetti da Coronavirus ha iniziato ad aumentare. La ragione, pensa Nirmal, è strettamente legata al malcontento nei confronti del Primo Ministro. Alcuni musulmani, circa 2500, si sono riuniti in un unico posto nonostante i divieti e hanno dato vita a un evento denominato «Jamat», che pare abbia influito sulla diffusione del contagio in diversi stati dell’India.

«In conseguenza della crescita degli infetti, il 23 marzo, Modi ha previsto la chiusura per 21 giorni», racconta il nostro intervistato, «E possiamo uscire da casa solo per acquistare generi alimentari, medicine e il giornale». La situazione, a suo avviso, risulta sotto controllo per ora, dal momento che la maggioranza dei suoi connazionali osserva rigorosamente le prescrizioni e chi, invece, si discosta da esse viene severamente punito dalle forze dell’ordine, le quali stanno effettuando rigidi controlli con metodi severi che noi in Italia, fortunatamente, ignoriamo: «La Polizia percuote con un bastone chi viene sorpreso a gironzolare senza un valido motivo. Inoltre, getta a terra la merce di quei commercianti che effettuano vendite al di fuori dell’orario consentito». Già, perché, in un’organizzazione piuttosto illogica, è permesso fare la spesa solo dalle 11 alle 15: qualcosa di disastroso in un Paese con una significativa densità di popolazione, la quale dovrebbe all’opposto suggerire, come auspica Nirmal, uno scaglionamento per uscire dalla propria abitazione. Per queste dinamiche, è molto dubbioso sul fatto che tutto possa tornare alla normalità il 14 aprile, dopo appena tre settimane di chiusura.

Occupiamoci ora di ciò che più importa al momento, ossia della situazione sanitaria: «Qui il personale medico sta facendo un ottimo lavoro, nonostante manchi tutto, dalle mascherine, ai disinfettanti ai respiratori. Mia madre, che è infermiera, deve acquistarsi da sola le protezioni. Vedo il terrore nei suoi occhi quando rientra a casa. Tutto questo perché l’India investe solo $0.011 in sanità per ogni cittadino», denuncia l’uomo. Lodevole è, però, la gestione di chi fa ritorno nel Paese da altri Stati:  «I medici stanno andando a casa di tutti quelli che tornano dall’estero; prendono il loro campione per analizzarlo e li sottopongono alla quarantena presso il loro domicilio». Nonostante i sanitari si stiano prodigando alacremente e i contagiati al momento siano ancora piuttosto esigui, Nirmal mostra seria preoccupazione in relazione alle suddette carenze e conclude: «Se il Covid dovesse diffondersi qua su vasta scala, potremmo assistere anche a 15-20 milioni di morti».