Il trasformismo dei 5 stelle

Cosa avremmo detto se il Pd, appena finite le elezioni, avesse chiesto un contratto di governo con la Lega? Apriti cielo. Il Pd mostra la sua vera natura, il Pd è di destra, i piddini non sono altro che alla ricerca di poltrone. Che poi è un po’ tutto vero. I governi fatti con il centrodestra, da Verdini, ad Alfano e poi Berlusconi, ne sono la prova. Però non è questo il punto, il trasformismo del Pd lo abbiamo già visto e vissuto sulla nostra pelle e, senza troppi patemi, sappiamo tutti di cosa è capace.
Oggi stiamo vivendo un secondo trasformismo: quello del Movimento 5 Stelle. Su più fronti i grillini stanno cambiando e democristianizzando le loro idee. A partire dalle aperture fatte da Di Maio sia al Pd che alla Lega. Impensabile fino a qualche mese fa e, oggi, una seria ipotesi di governo. Definire Salvini un interlocutore credibile con il quale si possono fare grandi cose è anzitutto offensivo nei confronti dell’intelligenza dei tanti che hanno votato il M5S. Salvini ha la stessa credibilità di Berlusconi o di Renzi. Né più, né meno. Salvini è in politica dal 1993 (25 anni!) ha cambiato idee su tutto e si è sempre alleato con Berlusconi. Di cosa stiamo parlando? Un uomo così povero intellettualmente che forse con un chiuahua si possono avere dei confronti più interessanti (invocando perdono ai chiuahua per il confronto). Eppure sembra che per Di Maio questo non conti. Un contratto di governo con la Lega, lo abbiamo ripetuto allo sfinimento, sarebbe la fine di quel sogno che è stato per molti giovani il M5S. Ammesso, e non concesso, che questo sogno sia già finito.
È chiaro che se l’obiettivo è governare non ci si può certo presentare con i «vaffanculo». Il M5S ha già passato quella fase di rottura del sistema e, com’è normale che sia, un cambiamento è fisiologico. Democristianizzarsi in questo modo, però, è troppo.
La partita per il governo si gioca anche sulla politica estera: se nella scorsa legislatura abbiamo assistito a un M5S intransigente nei confronti della NATO, vista come principale responsabile dell’instabilità politica in Medio Oriente, interventista e colonizzatrice, oggi ci troviamo un Di Maio molto più vago, che non risponde alle domande sul tema (se non con frasi banali, scontate) e che esclude l’uscita dell’Italia dall’alleanza atlantica. Radicale cambiamento di pensiero che si avvicina, se non addirittura combacia alla perfezione, con quanto sostiene l’establishment. Meglio non chiedere nulla a Di Battista, potrebbe risultare offensivo nei confronti dell’amico napoletano.
Di Maio ha voglia di potere. Probabilmente nemmeno lui, cinque anni fa, avrebbe mai pensato di trovarsi a gestire un 33% di consenso e ad essere il primo partito in assoluto. È comprensibile, per certi versi, l’aspirazione di fare carriera di un ragazzo di trentuno anni, ma a tutto c’è un limite. Restare all’opposizione, rimanere fermi e intransigenti sulle proprie idee a costo di perdere qualche voto. Qualcuno ancora lucido nel M5S che fermi Di Maio prima che sia troppo tardi.