Trasporti e riduzione emissioni: gli ambiziosi obiettivi UE

Gli anni passano, gli obiettivi restano. Mentre la pandemia, i suoi effetti e le prospettive di ripresa occupano la scena del dibattito pubblico, l’Unione Europea pare non aver dimenticato il secondo ciclo d’interventi su larga scala a cui ha legato l’operazione del cosiddetto Recovery Fund: lo European Green Deal, ovvero il piano per l’annullamento delle esalazioni di gas serra nell’intero continente entro il 2055 e la completa dissociazione delle attività produttive dal l’utilizzo delle risorse che li generano.

A tal proposito, lo scorso luglio è stato varato in Commissione UE il pacchetto di misure d’indirizzo climatico Fit for 55, nel quale viene ribadito sia l’obiettivo ambientale a lungo termine, sia l’ancor più ambiziosa meta intermedia di riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990, con termine ultimo l’anno 2030.

Obiettivo che a prima vista pare quasi l’inverosimile, in quanto l’Unione è stata in grado di operare soltanto un taglio pari al 20% nel periodo 1990/2020, andando oltretutto al di là delle aspettative in termini di assorbimento della riconversione da parte tessuto economico e ponendosi dunque come avanguardia ambientalista nel mondo. Tuttavia, questo piano prevede quasi il doppio del risultato precedente, con a disposizione la metà del tempo. Proprio per questo motivo un terzo della manovra economica comunitaria da 1800 miliardi sarà destinata al Green Deal, insieme al prossimo bilancio settennale.

Fit for 55, al di là delle facili ironie per il nome pop che richiama un programma di allenamento, risulta essere all’analisi un piano strategico chiaro e stringente, che propone modifiche sostanziali della politica comunitaria in tutti gli aspetti collegati alla produzione e al consumo di energia.

Innanzitutto, si afferma l’obbligatorietà delle riduzioni nei piani di sviluppo energetico dei singoli stati membri del 39% rispetto al 1990, passando attraverso una massiccia riconversione dell’efficienza energetica degli edifici con misure come il bonus 110% per le ristrutturazioni. In secondo luogo, sono previste misure fiscali di tassazione riconducibili al termine cappello carbon tax, che si pone di squalificare l’import di materiali quali ferro e alluminio dal resto del mondo, se prodotti senza rispettare gli standard energetici comunitari, a vantaggio del mercato interno. In terzo luogo, viene incentivata nuovamente la produzione di energia da fonti rinnovabili tramite interventi economici che puntano alla riduzione dei costi di produzione, con l’obiettivo di portarla dal 32% attuale al 40%.

Il pacchetto di misure più corposo riguarda i trasporti. Capofila il settore automobili e furgoni, dove si punta a interdire l’immatricolazione di veicoli a combustione interna entro il 2035, siano essi alimentati a benzina, diesel o ibride, nonché a ripensare integralmente i trasporti pubblici per diminuire il traffico su strada nelle aree urbane. Al momento, per una questione di gap tecnologico, restano esclusi dalla manovra i motocicli. Per quanto riguarda il trasporto aereo e quello marittimo, viene incentivata tramite precise tabelle di marcia l’implementazione dei carburanti SAF, in grado di ridurre le emissioni dell’80% se messi in soluzione con un’equivalente quantità di propellente tradizionale.

Il Green Deal si rende necessario sia per la crisi climatica sia perché l’Europa è un territorio notoriamente poco dotato di giacimenti petroliferi e carboniferi. Soddisfare il bisogno di tali forniture sul mercato globale ha ovviamente un costo economico, il quale si risolve in un importante svantaggio competitivo per le aziende europee, ma non solo. La necessità di approvvigionamento delle risorse energetiche presso altre aree del pianeta e il conseguente bisogno di assecondare i Paesi che le occupano, spesso connotati da standard istituzionali e umanitari assai meno consoni a quelli dell’Unione, è stato ed è tuttora un importante fattore di quella debolezza geopolitica che l’UE ha spesso mostrato sullo scacchiere internazionale nel recente passato.

In conclusione, al di là della problematica ambientale, è importante rimarcare che la totale indipendenza da fonti non rinnovabili è anche un importante fattore di sovranità politica comunitaria.