Referendum trivelle: perché voterò «No»

Il prossimo 17 aprile si andrà a votare un referendum abrogativo sulla possibilità di chiudere le stazioni, all’interno delle 12 miglia dalla costa, che ora estraggono gas e petrolio, prima del loro esaurimento. Il referendum non riguarderà la possibilità di effettuare nuove trivellazioni, così come non riguarderà le trivelle in alto mare. Nelle ultime settimane è nato un acceso dibattito sul tema, spesso fondato sulla disinformazione, per cui è buona cosa far chiarezza fin da subito. Al di là di tutti i dati tecnici, o pseudo tali, portati a favore di uno o dell’altro schieramento in praticamente qualsiasi discussione, e che troppo spesso sembrano essere interpretati in modo quantomeno non oggettivo a seconda della posizione di chi li usa, qualche pensiero a favore del no sorge spontaneo in chi scrive.
Per prima cosa, l’Italia dovrebbe iniziare una volta per tutte ad essere uno Stato serio. Purtroppo per troppi anni si è avuta la brutta abitudine di cambiare le regole in corsa, danneggiando inesorabilmente la salute e la reputazione del nostro mercato. È assurdo pensare di poter essere competitivi quando aziende e privati (compresi i lavoratori dipendenti) sanno che investire nel nostro paese significa impiegare risorse all’interno di un sistema non definito e passibile di qualsiasi mutamento a seconda di come cambia il vento nell’opinione pubblica. Inoltre, se si pensa che ci sono persone (a prescindere dalla loro quantità) che perderebbero anzitempo il proprio posto di lavoro con come unico errore quello di essersi fidati della serietà del nostro sistema legislativo, il tutto assume connotati di forte ingiustizia sociale. Una volta per tutte si dovrebbe imparare l’importanza del rispetto degli impegni presi, che permetta a tutti gli enti coinvolti una serena programmazione a lungo termine del proprio futuro.
Come secondo punto non si capisce come la chiusura anticipata di trivelle già esistenti si possa vedere come una mossa ambientalista. Ciò potrebbe avere senso se si fosse appurato che l’estrazione in prossimità delle coste italiane sia particolarmente pericolosa, più che altrove, cosa assolutamente falsa. Chiudere qui, senza ridurre i consumi (cosa non toccata dal referendum e, con abbastanza evidenza, non correlata con esso), ha logicamente solo due possibili sviluppi: o aumenterà l’estrazione in altre stazioni o ne verranno impiantate di nuove. Non si capisce, in entrambi i casi, come ciò dovrebbe ridurre l’inquinamento a livello globale, e un ragionamento campanilista del tipo «meglio altrove che qui» è abbastanza egoista da non meritare di essere discusso. Appare invece una scelta più convincente quella di usare in modo pieno quello che già c’è, piuttosto che chiudere impianti esistenti per spostare la produzione, magari con nuove perforazioni.
Sarebbe diverso se la posta in gioco fosse quella di puntare sempre meno sulle fonti fossili, o di non permettere nuove trivelle. Ma il referendum, come già detto, riguarda tutt’altro e non appare credibile utilizzarlo solamente come segnale politico, in quanto in gioco ci sono posti di lavoro e la serietà del nostro sistema produttivo.