Trump presidente: perché i sondaggi hanno perso

quello che andrebbe più criticato sull’esito delle elezioni presidenziali americane, dopo tutto, non è il vincitore, ma coloro che l’hanno sottovalutato e che, tramite sondaggi fallimentari e tramite la capacità di fare colpo sui creduloni di internet e dei media (come tutti noi), hanno sparato a zero sulla quasi ovvia vittoria della Clinton, collezionando una delle figure peggiori di sempre in campo sondaggistico.

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Siamo in molti a non trovare particolarmente affidabili i sondaggi: da un lato sembrano una scommessa, o forse una speranza, dei giornalisti e di chi ne dà credito, dall’altro sembrano un metodo per spingere la gente a concentrarsi su un candidato, con l’intento di darlo come favorito, ma col solo esito di sottovalutare l’altro.
Esattamente ciò che è accaduto lo scorso 8 novembre: la (schiacciante) vittoria di Trump ha alzato il dito medio a tutti quelli che profetizzavano la (schiacciante) vittoria della Clinton.
Durante tutta la campagna elettorale i sondaggisti di tutto il mondo davano la Clinton per vincitrice perché si affidavano alla sua figura: la prima donna che potrebbe diventare presidente negli Stati Uniti, la sua esperienza, la sua capacità di rispondere alle domande con sicurezza e la sua preparazione erano forse i segnali più convincenti. Ma d’altra parte i suoi errori venivano difficilmente dimenticati: il perdono al marito «poco fedele» e il clamoroso scandalo delle email, solo per citarne alcuni. Dall’altra parte, invece, il candidato repubblicano guadagnava il perdono abbastanza facilmente: nonostante i mille «scivoloni», infatti, (accusato di misoginia, razzismo, di non pagare le tasse e di scarsa preparazione per diventare presidente), si rialzava senza troppa fatica e, a quanto pare, non perdeva consensi. La vittoria di Trump ha dimostrato che forse sono cambiate le regole delle elezioni americane: una volta si ricercava qualcuno che non avesse scheletri nell’armadio, che avesse una vita perfetta, qualcuno a cui non era concesso aver commesso un solo errore nella vita; oggi invece, l’elettore medio americano, probabilmente stufo delle finte facciate perfette, ha voluto scegliere qualcuno di estremo, che avesse sì delle pecche abbastanza visibili e certe, ma che avesse delle opinioni altrettanto sicure, anche se terribilmente estreme.  Ma i sondaggi e i media non potevano di certo dare credito a una figura del genere, e per tutta la campagna è stato sempre rappresentato come un razzista che non potrà mai vincere nella «grande democrazia americana». Questo anche perché, come hanno sottolineato in molti, la grande indignazione nei suoi confronti da parte degli elettori americani veniva tanto sbandierata (e proprio su questo i media facevano affidamento), mentre il consenso al candidato, silenzioso e crescente, non veniva ascoltato e quindi neanche ritenuto esistente.
Probabilmente il confronto tra i due candidati lo si può considerare anche sulla base di ciò che durante la campagna hanno scelto di far emergere: al di là del singolo programma elettorale, da un lato emergeva molta retorica, bei discorsi sui diritti dei bambini e delle donne e sull’eguaglianza di genere, anche se il tutto nascondeva un programma di guerra sanguinoso, dall’altro delle azioni pratiche, dirette, volte a risolvere più che problemi direi lamentele concrete, ed è su questo che Trump ha fatto leva: sul fatto che molti fossero stanchi di certe situazioni, che lui promette di risolvere.
Ma al di là del perché uno ha vinto e l’altra ha perso, l’errore più grande è stato quello di sottovalutare non solo Trump, ma anche i suoi elettori che, se durante la campagna son rimasti in silenzio, qualcuno perché disinteressato a prestarsi a giochi politici, qualcun altro anche perché in fondo si vergognava della sua scelta, si sono invece fatti sentire al momento del voto, proclamandolo vincitore. Si sono sottovalutate quelle categorie di persone che tutti pensavano votassero per lei, come i così detti «Los Trumpistas», i latini per Trump che, nonostante le sue politiche sull’immigrazione e sul voler tirare su un muro sul confine del Messico, lo sostengono, e lo hanno votato. Proprio quando pensavamo di aver capito l’archetipo dell’elettore medio di Trump, bianco, ricco, imprenditore, spuntano loro (non è che forse i razzisti siamo stati noi?).
Per questo il fallimento più grandioso non è quello di Hillary, ma di quelli che la davano vincitrice, illudendo lei, e sottovalutando lui.