Una serie Netflix ci fa riflettere sul concetto di ghetto

In ogni casa c’è sempre un cassetto del tutto e del nulla. È il cassetto nel quale coesistono gli oggetti tra i più disparati che possediamo. Quello nel quale i tappi di penna convivono con le sorprese trovate nelle confezioni dei bastoncini di pesce; quello in cui le graffette e i cavi elettrici si intrecciano a pomelli di ante che, un giorno molto lontano, forse, ci decideremo a riavvitare. In questi luoghi, che proliferano e prosperano spontaneamente, sono solitamente racchiusi tutti quegli oggetti che non riusciamo a buttare, per una loro presunta futura utilità, ma che allo stesso tempo non siamo in grado di ricollocare in nessuna parte della casa. Talvolta nell’aprirlo potremmo essere invasi dai sensi di colpa, dalla vergogna o da un qualche senso di fastidio per la sua presenza proprio lì nel bel mezzo dell’ordine impeccabile del nostro appartamento. Tuttavia quel cassetto ci appare l’unico luogo della casa in grado di contenere tutti quegli oggetti e difficilmente ci sforziamo a dare loro un’altra sistemazione.

Ciò che è importante e al tempo stesso triste analizzare è che luoghi di segregazione come questi non si trovano soltanto nelle nostre case come dimora per sventurati oggetti. Purtroppo da tempo, e progressivamente negli ultimi anni, molte delle metropoli occidentali abbondano sempre più di persone che, per svariate ragioni, non si riescono o non si vogliono includere all’interno delle nostre città.

Una recente serie Netflix intitolata Sulla scena del crimine: Il caso del Cecil Hotel ci offre, a tal proposito, un interessante spunto di riflessione. Il documentario, che si concentra sulla tragica morte di una giovane turista canadese avvenuta nel famigerato Cecil Hotel e sulla terribile reputazione che quest’ultimo si è procurato nei decenni a causa di una serie di sventurate morti ad esso collegate, altro non è che l’orrido prodotto di un’area della città di Los Angeles da anni teatro di violenze, povertà, crimini e discriminazioni. Luogo di orrori appare perciò Skid Row, malfamato quartiere dove sorge per l’appunto il Cecil.

La decadenza di tale zona ha avuto inizio a partire dagli anni settanta. In quel periodo l’amministrazione comunale di Los Angeles era intenzionata ad effettuare una politica di contenimento al fine di canalizzare la parte brutta della città su Skid Row. Così in breve tempo, il quartiere è divenuto la principale meta di senza tetto (si conta una comunità tra le otto e le dieci mila persone), spacciatori, drogati, prostitute e criminali di vario genere. Inoltre la situazione è precipitata allorché si è pensato bene di indirizzare lì chiunque venisse rilasciato da una prigione o da un istituto psichiatrico.

Nel corso degli anni l’area si è dotata di servizi vari per coloro che, non trovando più il loro posto all’interno della società e apparendo difficili da ricollocare al suo interno, dovevano essere trattenuti ai margini di essa. La disoccupazione, la povertà, l’immigrazione, la dipendenza da droghe, la pazzia. Tutti questi sono i fattori che potenzialmente li hanno condotti a Skid Row. Fattori che ci spiegano come siano arrivati in quel luogo, ma che nulla aggiungono al perché debbano restarci.

Da sempre, la maggior parte delle città occidentali ha avuto quartieri per le persone che non si voleva o poteva tenere insieme alle altre all’interno della città. Il primo ghetto della storia occidentale è quello di Venezia. Nato nel 1516, sorgeva in risposta al compromesso tra coloro che desideravano espellere gli ebrei da Venezia e coloro che invece volevano tenerli ma separati dal resto della popolazione veneziana. Molti stati europei e gli stessi Stati Uniti hanno una lunga storia di ghetti, da quelli ripristinati in epoca nazista a quelli afroamericani.

Tuttavia, le differenze tra i ghetti originari e quelli che potremmo definire più recenti sono peraltro molto evidenti. Nei ghetti, cosiddetti, tradizionali, la segregazione era generalmente frutto dell’appartenenza ad una data etnia, religione, professione o cultura. Le persone nascevano nei ghetti, le loro famiglie abitavano quei luoghi, in alcuni casi, da generazioni. Essi a volte, nel tempo, sono stati anche il centro di interessanti e dinamici processi culturali e storici.

Se ora, però, guardiamo ai ghetti come Skid Row, l’immagine che ci restituiscono è quella spaventose discariche umane. Il comune denominatore tra le persone che vivono quei luoghi altro non è che la povertà, l’emarginazione, la malattia. Nessuno nasce nei quartieri come Skid Row ma ci finisce dentro, inevitabilmente, proprio come nel cassetto del tutto e del nulla. Si tratta di donne e uomini espulsi dalla società. Una società che non è in grado di dare loro una collocazione. Una società che guarda alle loro vite con paura per la vergogna di conoscerne la miseria.

Per questo la soluzione più facile appare quella di collocarli all’interno di luoghi circoscritti. Luoghi lontano da tutti che non si possono e non si devono vedere. Nel buio di un misero quartiere così come nel buio di uno sventurato cassetto.