Usiamo i social per imparare la responsabilità

Succubi di un sistema consumistico che, come una voragine investe i comportamenti che assumiamo all’interno del tessuto sociale, crediamo di ritrovare la massima espressione di libertà nell’utilizzo della tecnologia. Con essa, la vita dell’individuo muta radicalmente, stravolgendosi dal suo stato originale. Cambia la percezione del tempo, dello spazio e soprattutto cambia il modo di pensare.
Prontamente assumiamo l’atteggiamento del rigido conservatore pronto a infervorarsi con veemenza contro coloro che sui social non condividono le nostre opinioni. Non consci, o almeno fino in fondo, dell’approccio con la realtà virtuale, ci nascondiamo dietro un display. È risaputo, d’altronde, che il distacco tecnologico che intercorre tra noi e un alto utente può essere la causa di un meccanismo perverso. Se con fermezza su una qualsiasi piattaforma sociale online facciamo valere i principi nei quali crediamo, nel comune «Face to Face» non avremmo neanche il coraggio di esporci, specie se l’interlocutore posto di fronte a noi è un soggetto più acculturato, o con più argomentazioni delle nostre.
Molto spesso ricadiamo nell’utilizzo di un lessico rozzo e volgare, poco adatto al contesto, soprattutto nel caso di internet, che immagazzina miliardi di dati in intervalli di tempo relativamente brevi i quali, per il più delle volte, sono facilmente accessibili a tutti. La soluzione non potrebbe di certo essere la censura da parte del Garante dei social, basterebbe essere consapevoli delle proprie azioni, assumendosi completamente le responsabilità. Ogni qualvolta le nostre dita scorrono su una tastiera di uno smartphone o di un pc, il nostro livello d’attenzione dovrebbe quadruplicare rispetto il valore normale. Solo con un uso ponderato dei social network, la vita individuale potrebbe volgere al meglio, escludendo quindi dai nostri giochi una volta per tutte, coloro che non hanno mai capito le regole della community: i nostalgici neofascisti e i creatori di fake news.