Giornalismo libero non significa giornalismo piatto, senza personalità, senza posizioni, neutro. Cosa significa veramente fare il giornalista «libero»?
Bella domanda. Ci sono diverse risposte. Io ne ho due. La prima: è un giornalista libero quello che riesce a pubblicare le sue notizie senza essere condizionato dagli interessi di un editore invadente o di un direttore omertoso. La seconda: è un giornalista libero quello che riesce a fare questo mestiere con una serenità economica e professionale che ti consenta di non fermarti davanti alla notizia «rischiosa». Il giornalista precario e senza tutele legali ci penserà due volte prima di proporre una storia scomoda, per la quale potrebbe essere citato in giudizio. Anche se la notizia è vera.
Qualche mese fa usciva il documento di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa nel mondo. L’italia è al 73esimo posto. Come commenteresti questo dato?
È il frutto di un mix micidiale: una profonda crisi nel settore, l’assenza di editori puri, la presenza di una criminalità soffocante. E una legislazione sulla diffamazione che pare scritta apposta per intimorire i giornalisti. Chi querela non rischia praticamente nulla, anche se la denuncia è manifestatamente infondata.
Caso Unità: fallisce e vengono pignorati i beni di alcuni giornalisti, tra cui la direttrice. Secondo te questo episodio tocca il problema della libertà di espressione o no? Perché?
La libertà di espressione in questo caso c’entra poco. Ciò che sta succedendo ai colleghi dell’Unità è il risultato di una situazione assurda, che affonda le radici nella mancanza di tutele per il lavoro dipendente giornalistico. Io azzardo un paragone: è come se dei debiti di una fabbrica chiusa per bancarotta debbano risponderne gli operai.
Infine, cosa consiglieresti ad un aspirante giornalista?
Consigli a un aspirante giornalista? Di non fare questo lavoro. A meno che non si sia dotati di una forte, fortissima motivazione.