Whirlpool, la resistenza degli operai e l’articolo 41 della Costituzione disatteso

Non c’è alternanza tra giorno e notte per gli operai napoletani della Whirlpool. Il ritmo circadiano è un lusso che chi deve difendere il proprio lavoro non può concedersi. Così, i partenopei che stanno vedendosi scippato il loro diritto a guadagnarsi il pane hanno dato vita a un presidio permanente in fabbrica, in Via Argine. Ieri sera hanno completato l’ultimo turno, ma poi non sono tornati a casa a riposare, a riabbracciare coniuge e figli, a rifocillarsi dopo una giornata di fatica in linea. No, questi uomini e donne, come dicevamo, non possono permettersi queste comodità, perché la multinazionale statunitense ha confermato ciò che aleggiava nell’aria già da tempo, ossia la chiusura dello stabilimento a partire da oggi, 31 ottobre. Perciò, è arrivato, ora più che mai, il momento di restare in piedi, di non indietreggiare nemmeno nelle ore notturne. Sono unanimi, infatti, in questo grido di dolore, i delegati sindacali come gli operai: «Per noi questo licenziamento è come una condanna a morte». Sarebbe consolatorio confutare queste parole dense di sconforto, ma significherebbe celare la verità. Lasciare a casa queste persone, in una realtà travagliata come quella napoletana, specialmente nel contesto pandemico che si sta attraversando, il quale ha uno strascico socio-economico devastante, equivale a emettere una sentenza che conduce questi lavoratori al patibolo.

La vera tragedia, infatti, è la consapevolezza di non avere a disposizione un’alternativa, di una strada segnata che conduce dritta in direzione disoccupazione, frustrazione, sofferenza, fame. Allora, se il percorso appare tracciato dall’alto dell’impresa americana, agli operai non resta che provare a effettuare un dirottamento: «Non possiamo fare altro che difendere questa fabbrica, questo lavoro, il lavoro che è stato dei nostri padri e delle nostre madri. Oggi è stato tremendo venire a lavorare, varcare quella soglia, percorrere quel corridoio e sapere che era l’ultima volta, ma non ci arrendiamo, noi restiamo qui». Queste le parole di un’operaia che resiste insieme agli altri 350 colleghi, la quale, ha risposto alle domande de Il Fatto Quotidiano: «Al domani non riesco nemmeno a pensare. Ci pagheranno fino a dicembre ma questo non ci cambia nulla, è un contentino, si sono rubati il nostro futuro, il futuro di una fabbrica pluripremiata nel mondo e ancora non sanno dirci perché vogliono chiudere l’impianto di Napoli, i numeri delle perdite di cui parla l’azienda nessuno li ha mai visti. Noi non vogliamo sostegno economico, noi vogliamo solo lavorare e fare quello che da sempre abbiamo fatto, ottenendo diversi riconoscimenti che oggi questa azienda sembra ignorare dopo averci elogiati e dopo aver siglato con noi, 18 mesi fa, un accordo che poi ha stracciato».

Come leggiamo, fino al termine del 2020, queste persone saranno ancora remunerate. La Whirlpool ha avuto il buon cuore di non far trascorrere il Natale per strada a queste centinaia di famiglie del capoluogo campano. Tuttavia, da gennaio del 2020, esse potranno contare solo sui loro risparmi, se ne posseggono, sul reddito di cittadinanza che appiattisce i salari o, si spera, sull’impiego di altri familiari, per tenere duro finché il loro caro licenziato non vedrà fruttare la ricerca estenuante di un’assunzione, resa ancora più complicata dalle odierne circostanze sanitarie.  E questa è l’ipotesi più rosea, quella in cui nessuno si affida alla mano insanguinata della camorra per ricevere un prestito di denaro a strozzo, o, addirittura, per arruolarsi nella sua manovalanza, per sfuggire alla tentazione di suicidarsi.

Viene, allora, da domandarsi dove sia finito tutto ciò che è decantato dall’articolo 41 della Costituzione:

«L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Qui, i fini sociali sono completamente soppiantati dall’interesse privato alla massimizzazione dei profitti. Un tempo, almeno, ci sarebbe stata l’Iri, immensa capogruppo, a rendere la Whirpool una sua controllata e a preservare questi posti di lavoro. Adesso, resta solo la speranza, piuttosto fioca, che la voce del popolo che pretende niente più che la garanzia dei suoi diritti venga ascoltata, dopo che il Governo ha sbandierato di aver trovato soluzioni che, alla luce della legislazione vigente, con la grande libertà delle imprese di inseguire il fatturato anche a scapito dei lavoratori, non sono altro che propaganda.