Le voci dell’immaginario olimpico italiano

L’Olimpiade è il contesto dove si mescolano meglio l’orgoglio patriottico e la condivisione di valori universali. La sua sintesi è lo spirito olimpico, che trova manifestazione nei gesti: il braccialetto donato dal keniota Cheruiyot al norvegese Ingebrigtsen lo fotografa perfettamente. A livello nazionale, ogni popolo ha, nel proprio immaginario, una collezione di imprese olimpiche entrate nella storia a tal punto da spingere le generazioni successive al tentativo d’emulazione dei miti. Nell’immaginario, insieme al gesto sportivo, entra la narrazione dell’impresa: non ci sono canottaggio e canoa senza Giampiero Galeazzi; non ci sono atletica leggera, sci di fondo e pattinaggio velocità senza Franco Bragagna; non c’è nuoto senza Sandro Fioravanti e Luca Sacchi; non ci sono slittino e tuffi senza Stefano Bizzotto; non c’è ginnastica senza Andrea Fusco, non c’è sci alpino senza Paolo De Chiesa al commento tecnico… E si potrebbe andare avanti a lungo. È pur vero che queste associazioni possono avere tratti soggettivi figli dell’età, ma per rivivere le vere emozioni di un’impresa olimpica si rimarrà per sempre ancorati alla narrazione originale.

Queste voci del servizio pubblico rappresentano magnificamente la storia olimpica italiana: a parità di gesto sportivo, la sostituzione dell’impronta vocale e narrativa conosciuta toglierebbe qualcosa. Forse, come dichiarato recentemente da Bruno Pizzul, il legame tra sport e sua narrazione è solo figlia della nostalgia, ma l’immaginario collettivo si nutre proprio della storia di una comunità.

All’indomani della cerimonia conclusiva di Tokyo 2020, osservando il medagliere dei record, osserviamo un passaggio di consegne, un’ideale staffetta tra le due discipline che scandiscono le due settimane olimpiche: il nuoto e l’atletica leggera. Ventuno anni dopo l’esplosione del nuoto olimpico italiano in quel di Sydney, il testimone dell’incredulità passa all’atletica leggera. Per chi scrive, Sydney rappresentò la prima olimpiade osservata con attenzione: nelle telecronache di Sandro Fioravanti e Luca Sacchi si materializzò «Un’olimpiade che ha del miracoloso. Un’olimpiade che sembra non finire mai». Prima Domenico Fioravanti, nei 100 rana, rompeva la maledizione olimpica del nuoto italiano vincendo, con tanto di record olimpico, «Il primo oro della storia del nuoto in un’olimpiade», poi raddoppiava nella distanza doppia accompagnato dal bronzo di Rummolo. Sigillava un incredibile Massimiliano Rosolino che, dopo essersi scontrato con Ian Thorpe nei 400 e nei 200 stile libero (chiusi rispettivamente al 2° e 3° posto), andava a battersi contro lo statunitense Dolan nei 200 misti. Fioravanti e Sacchi commentarono come se già conoscessero il finale: «Va a prenderlo con la rana! Va a prenderlo! […] Massimiliano non accetta di perdere, a questo punto, da nessun avversario». Il resto è, appunto, storia: record olimpico e terzo oro.

Ciò che rappresentò la narrazione del duo Fioravanti-Sacchi all’apice del nuoto olimpico italiano a Sydney, ha trovato un secondo capitolo nell’apice dell’atletica leggera di Tokyo 2020 con Bragagna e Tilli. Il secondo posto assoluto nel medagliere di categoria non ha eguali. Vero è che il curriculum di Bragagna contenesse già decine e decine di imprese olimpiche italiane:

dal martello di Vizzoni che «Finisce lontano, molto lontano!» fino a regalarci un incredibile argento a Sydney, ai due secondi posti di Fiona May;

L’impresa della Belmondo nella 15 km a tecnica classica di Salt Lake City 2002;

dal bronzo ateniese di un Gibilisco «Che si teneva assieme con lo scotch», all’oro di Brugnetti nella 20 km di marcia, fino al «Bravo! Bravo! Bravo!» rivolto al trionfante Stefano Baldini che tagliava il traguardo della maratona conclusiva;

dalle imprese individuali Enrico Fabris nel pattinaggio velocità a Torino 2006 (bronzo nei 5000 e oro nei 1500) fino alle incredibili vittorie nell’inseguimento a squadre, nella 50 km a tecnica libera con Giorgio Di Centa e nella staffetta 4×10 km…(e anche qui la lista potrebbe proseguire ancora a lungo).

L’oro nell’atletica leggera ci mancava dall’impresa di Schwazer nella 50 km di marcia a Pechino 2008 (a proposito della tradizione italiana che ci ha visto dominare la 20 km sia al maschile che al femminile con il duo Stano-Palmisano) e, per ritrovarne una nelle discipline veloci, dovevamo riavvolgere il nastro al Rosi narrante la rimonta di Mennea a Mosca 1980.

Giornalisticamente, Tokyo è stata l’olimpiade di Bragagna e Tilli, profetici perché sempre svariati fotogrammi davanti a ciò che si stava materializzando. Conoscenza tecnica ed enciclopedica dell’atletica leggera applicata alla comunicazione delle emozioni. Tilli c’è nei 100 metri (e come non esserci se li hai corsi in 10″16?) quando a metà gara esclama con sicurezza «Vince!»  riferendosi a Jacobs, invocato da Bragagna sul traguardo con un «Marcello». La coppia al commento si supera nella 4×100 quando, osservando la curva di Desalu, Bragagna ci avverte che «sta per succedere qualcosa…»  e poi Tilli, presa coscienza del lanciato di Tortu, ci convince che «Lo prende Filippo!» 

Ogni impresa olimpica ha un’impronta al commento: il 37 e mezzo della 4×100 sarà per sempre un «Febbrone da cavallo», come il liberatorio «Oro! Oro!» sarà il sigillo dell’accordo Tamberi-Barshim, come la vittoria della Pellegrini a Pechino è la preghiera «Federica resisti!», come il K2 di Rossi e Bonomi continua a essere un «Turbodiesel», come la prua del 2 con degli Abbagnale sarà sempre «La prima a vincere davanti alla Germania dell’Est», come Igor Cassina è ancora «Un punto esclamativo pervaso da energia», come Christian Zorzi «Non taglia il traguardo, vuole prolungare il piacere»….e via all’infinito.

In queste righe abbiamo riaperto il libro dei ricordi recenti. Ora, altri momenti di gloria che sono entrati di diritto nell’immaginario olimpico italiano hanno già cominciato a ispirare gli azzurri di domani.