Sua maestà Di Maio, il più democristiano dei 5 Stelle

Finalmente, dopo anni di attesa, più per i titoli dei giornalisti che per i militanti,  il Movimento 5 Stelle ha scelto «democraticamente» il suo candidato premier.
I 100 metri sono stati vinti e Di Maio è il candidato premier, nonché capo politico, del Movimento 5 Stelle. Grillo ha incoronato il trionfatore direttamente dal podio di Rimini.
Il Movimento 5 Stelle di errori ne commette e queste primarie farsa (che ricordano un po’ la votazione sul direttorio) vanno ad aggiungersi alle tante pecche prodotte da una forza politica che, seppur giovane, troppo spesso si ingarbuglia in grattacapi da vecchio grigio partito.
Quando si chiama il popolo (i militanti, in questo caso) alla partecipazione è sempre incantevole. Però, quando a gareggiare è uno solo, lo spettatore potrebbe annoiarsi parecchio. E magari potrebbe anche sentirsi preso per il culo.
Di Maio è il candidato giusto per un Movimento 5 Stelle che punta a vincere a marzo 2018. Lo sa benissimo Grillo e lo sappiamo tutti.  È il candidato che ha il miglior appeal televisivo e che riesce a piacere trasversalmente sia all’elettorato di destra che a quello di sinistra e, soprattutto, a quello determinante di centro.  Di Maio trova quel consenso che altri big non riuscirebbero a trovare. Un Di Battista piace ai giovani, ma è detestato dalle vecchie generazioni per la sua eccessiva verve. Un Fico, invece, può sfondare tra gli elettori di sinistra,  facendo perdere al Movimento, conseguentemente, i voti che provengono da destra. La Lombardi e la Taverna fanno perdere voti e basta.
Ne consegue che Di Maio sia l’unico candidato premier potenzialmente vincente. Non certo il più bravo, ma questo conta poco. Quando in politica vuoi vincere non candidi il più capace, altrimenti significherebbe che i vari Renzi, Meloni, Berlusconi e Salvini sono i migliori all’interno dei rispettivi partiti (e, per fortuna, non lo sono). Se in politica vuoi vincere candidi quello che piace di più, quello che è mediaticamente più forte, quello che può strappare maggiori consensi alle altre forze politiche, quello che piace sia all’ordinato avvocato che all’incazzato e burbero operaio. Vale a dire che si candida quello un po’ più democristiano degli altri.
Il Movimento 5 Stelle ha perso un’altra chance per dimostrarsi diverso e portare avanti quella agognata rivoluzione culturale tanto millantata. Candidare il più bravo politicamente, questo bastava per fare un passo avanti rispetto allo squallore che ci viene proposto da vent’anni. Consapevole del fatto che sarebbero aumentate le probabilità di una sconfitta, ma dimostrandosi intransigente (cit.) e vero.