Perché gli attentati sono una piaga sociale europea
Dopo l’attentato di Barcellona e quello in Finlandia, come di consueto si è scatenata l’ennesima ondata di islamofobia: i musulmani sono l’origine di questi disastri e quindi è bene tenerli più lontani possibile da noi. Non parliamo poi degli immigrati che arrivano sui barconi, altra fonte di terrorismo, sempre secondo questi signori. E mentre ci sono i soliti noti che citano Oriana Fallaci a sproposito o inneggiano alla chiusura delle frontiere, fare un discorso serio diventa sempre più difficile.
La razionalità, ça va sans dire, è nemica delle emozioni, quindi proveremo a mettere da parte la sensibilità di chi scrive, sensibilità scossa da 15 vittime in più per l’azione sconsiderata di qualche fanatico. Dire che l’estremismo islamico è la causa del terrorismo non è sbagliato, ma è una spiegazione parziale del fenomeno: stiamo parlando di qualcosa di simile a un pretesto, per quanto riguarda la «bassa manovalanza» che compie materialmente gli attentati. I mandanti, più o meno diretti che siano, meriterebbero un discorso a sé che rimandiamo a un momento ulteriore.
Parlavamo di un pretesto: anziché spendere energie in urla e strepiti contro una religione, la politica dovrebbe invece guardare ad altro, ossia alle cause sociali e umane che portano delle persone a diventare terroristi. Ricordiamoci sempre che stiamo parlando di esseri umani tali e quali a noi, con la differenza che nessuno di noi si farebbe esplodere o falcerebbe decine di persone alla guida di un furgone. Com’è possibile che in questi individui manchi completamente l’istinto di autoconservazione, tipico di tutti gli esseri viventi? Chi scrive non è uno specialista in termini di psiche, però si potrebbe azzardare un paragone fra gli attentatori e i più comuni suicidi: entrambi compiono un’azione definitiva (seppur ovviamente diversa nella forma) perché non hanno nulla da perdere.
Il fatto che un uomo ritenga la propria esistenza degna di essere vissuta deriva sia dalle sue scelte personali in quanto individuo libero (e su queste non ci si può lavorare più di tanto) sia dalla condizione sociale in cui vive. Tant’è che una parte degli attentatori degli ultimi anni è composta da convertiti, mentre sono statisticamente ben più numerosi i convertiti che decidono di andare a combattere fra le fila del sedicente Stato Islamico. La questione è una ed è molto semplice: l’islam radicale non è altro che un’ancora di salvezza per individui che non vedono per sé alcun futuro. È un’ideologia che, al pari di tutte le altre, offre certezze a chi sta annegando nei propri dubbi. Se al posto dell’islam radicale ci fosse, per assurdo esempio, la fede nelle patatine fritte sarebbe esattamente la stessa cosa. Qui la religione (indubbiamente distorta e vista solo in modo parziale) è un mero mezzo per dare risposte fittizie a chi ne ha bisogno.
Che cosa può fare quindi l’Europa che contrastare quella che potremmo definire con cognizione di causa una piaga sociale? Migliorare l’esistenza dei suoi cittadini. Non parliamo solo dal punto di vista economico, visto che fortunatamente nel nostro continente bene o male il welfare non è un sogno, ma anche e soprattutto dal punto di vista psicologico e culturale. Nessuno – a meno di persone con disturbi psichici – si uccide, o compie un’azione definitiva come una strage, se ha davanti a sé delle prospettive di vita; nessuno crederebbe così tanto in un’entità come l’Isis da compiere un attentato in suo nome se avesse a disposizione una guida culturale che ha lo scopo di renderlo individuo, ossia essere umano autonomo.
I cosiddetti «lupi solitari» si cibano di odio in rete perché cercano qualcuno che dia loro delle certezze, che lo Stato insegni loro a porsi le domande giuste e a darsi qualche volta anche delle risposte, o ad accettare il fatto che tante domande non potranno mai essere risolte. L’essere umano che non è autonomo è propenso a cercare conforto in qualunque gruppo mostri di accettarlo, anche solo con lo scopo di usarlo: che sia il terrorismo, l’adesione a una dittatura, a una causa politica violenta, la sostanza rimane la stessa.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia