Caso Aquarius: usiamo buonsenso e non slogan

Ha causato mille polemiche la scelta di Matteo Salvini di chiudere i porti e impedire alla nave Aquarius di attraccare in Italia con oltre 600 migranti a bordo. Al di là delle motivazioni politiche, condivisibili o meno, resta un interrogativo: il ministro dell’Interno poteva fare quello che ha fatto? Secondo molti esperti no.
La cosiddetta Convenzione di Amburgo nel 1979 e altre norme sul soccorso marittimo indicano come destinazione delle navi che portano migranti il primo «porto sicuro». Non si parla solo di vicinanza geografica, ma anche di idoneità al rispetto dei diritti umani. Per questo motivo generalmente si preferisce l’Italia ai piccoli Paesi come Malta che, per esempio, non sarebbe in grado di gestire molteplici sbarchi massicci. È poi necessario ricordare che con tutta probabilità tutti i migranti che arrivano vogliono chiedere l’asilo e, finché non viene dimostrato il contrario, vanno considerati rifugiati.

È importante anche ricordare che la nostra Carta spiega che ha diritto d’asilo lo straniero «al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana».  È un mistero come faccia Salvini a sapere che a bordo di Aquarius non ci fossero migranti che avrebbero avuto diritto d’asilo: è già difficile capire chi sia un rifugiato quando lo si ha davanti, figuriamoci quando è su una nave in mare aperto. Non c’entra essere razzisti o buonisti, ma ragionare con buonsenso, conoscendo una situazione complessa e ulteriormente complicata da una politica che continua a fare campagna elettorale anziché cercare una volta per tutte di risolvere un problema che costa centinaia di vite umane ogni anno.

Chi scrive non vuole muovere giudizi sull’opportunità politica della scelta del ministro dell’Interno, ma è indubbio che Salvini abbia giocato d’azzardo, abbia fatto un pokeristico all-in ed è stato «salvato» dalla Spagna.