Che cosa dice il rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico

Dalle alluvioni in Germania agli incendi in Grecia e i 48 gradi raggiunti in Sicilia, non c’è dubbio che quella del 2021 sia stata l’estate calda del cambiamento climatico. Quello che i film di fantascienza del secolo scorso avevano immaginato essere un futuro apocalittico per il nostro pianeta si sta avvicinando a passi sempre più veloci lasciando ben poco spazio all’immaginazione. Il 9 agosto scorso è stato reso pubblico dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) il rapporto sulla situazione climatica, con cui gli scienziati hanno messo in guardia sulle inequivocabili conseguenze dell’aumento dei gas serra sullo stato di salute della Terra.

Ormai di cambiamento climatico se ne parla da anni e dal protocollo di Kyoto, il trattato internazionale in materiale ambientale firmato nel 1997, sono passati quasi 25 anni e nonostante dell’intrinseca relazione tra azione umana e fenomeni ambientali si abbiano continue prove, in questi anni nel concreto si è fatto ben poco per limitare l’aumento delle temperature e le sue conseguenze. A differenza delle edizioni passate del documento redatto dall’IPCC, quella di quest’anno è la prima in cui anche gli scienziati, tipicamente più cauti nel fare previsioni e almeno parzialmente immuni da affermazioni sensazionalistiche, hanno dichiarato l’evidenza scientifica disponibile un’inequivocabile prova del ruolo giocato dall’attività umana nel determinare i principali fenomeni climatici, quali alluvioni, incendi e scioglimento dei ghiacciai.

Se continueremo a questo ritmo e le emissioni di anidride carbonica saranno tollerate a livelli superiori rispetto a quelli odierni, c’è ragione di pensare che eventi naturali catastrofici diventeranno la quotidianità. Ad oggi la produzione mondiale di CO2 è di 40 miliardi di tonnellate all’anno e considerando che la questione ambientale è ancora estranea alle agende politiche di numerosi governi, entro il 2050 si prevede un aumento medio delle temperature compreso tra i 2,7 e i 3,6 gradi. Si tratta di cifre ben distanti dai limiti imposti dagli Accordi di Parigi del 2015, coerentemente con i quali il cambiamento climatico sarebbe potuto essere rallentato mantenendo la crescita annua delle temperature sotto i 2 gradi. 

Il 2050 è vicino: tra trent’anni buona parte della popolazione mondiale sarà ancora in vita, anche chi oggi pensa che la discussione sul surriscaldamento globale e il cambiamento climatico possa essere rimandata. Arrivati a questo punto bisogna capire che il caldo di cui ci lamentiamo oggi non farà che diventare più insostenibile nei prossimi decenni e che il solo modo che abbiamo per evitare che deforestazione, incendi e alluvioni si trasformino in eventi all’ordine del giorno è procedere con un’inversione di rotta. L’attuale sistema produttivo è oramai tutt’altro che sostenibile e per renderlo tale è necessario adottare un approccio olistico e ripensare le politiche pubbliche nelle materie più disparate, dai trasporti pubblici e la produzione di energia all’allevamento. Si tratta senza dubbio di una corsa contro il tempo, ma se non saremo in grado di realizzarla entro la fine del secolo saremo costretti a sederci ad un tavolo alla disperata ricerca di soluzioni per la nostra sopravvivenza.