«Come Dedalo e Icaro», il primo romanzo di Tito Borsa, ex direttore de La Voce

Pubblichiamo un estratto del primo capitolo di Come Dedalo e Icaro, il romanzo dell’ex direttore de La Voce che Stecca Tito Borsa, pubblicato qualche giorno fa da Youcanprint. Per acquistarlo in versione cartacea (23 euro) o in ebook (5,99 euro) basta cliccare qui. Entrambe le versioni sono disponibili su tutti gli store online, anche su Google Play.

 


 

Come Dedalo e Icaro
Tito Borsa
Youcanprint – 2020
340 pagine

Si alzò dal letto malvolentieri, sottofondo: il solito studente che si fa bello con il cinquantino davanti agli amici, si infilò le pantofole consunte e si diresse verso il giorno che splendeva dalle grandi vetrate della cucina. Prese la caffettiera preparata con cura la sera precedente e la appoggiò stancamente sul fornello appena acceso. Forse l’aveva scampata: impostare la sveglia mezz’ora prima del solito gli avrebbe permesso di starsene un po’ senza di lei.
Lasciamo stare le capsule, pensò con la mente ancora assonnata, oggi voglio farmi un caffè alla vecchia maniera. Lenta ma efficace. Queste novità sono comodissime ma ci costringono a perdere la consuetudine di un gesto quotidiano salutare come quello di mettere la moka sul fuoco.
Si accese una sigaretta e iniziò a tirare pigramente il fumo nei polmoni ancora intorpiditi: mi dicono che smettere di fumare farebbe bene a salute e portafoglio, ma è l’unico vizio che ho e preferisco tenermelo.
La tranquillità di quella scena durò poco. Come ogni mattina si svegliò pure lei e apparve avvolta solo da una corta camicia da notte, i piedi nudi scivolavano sul pavimento. Nemmeno dopo tutto quello che gli aveva fatto, nemmeno dopo tutte le cose che gli aveva detto, nemmeno dopo tutto questo aveva perso la sensualità che l’aveva sempre contraddistinta.
«Vuoi un po’ di caffè?», le chiese senza convinzione, maledicendosi per non aver impostato la sveglia anche un’ora prima del solito.

Lei non rispose, gli si avvicinò, prese la sigaretta dalle sue dita e iniziò a fumarla rivolgendogli un sorriso di sfida. La sua ombra offriva a quella visione un’atmosfera un po’ retrò da femme fatale: mai similitudine fu appropriata, me l’aveva proprio messo nel culo in modo fatale, definitivo.
Lui si alzò irritato, non faceva niente per celarlo, spense il fuoco, prese la moka e con un rapido gesto rovesciò il caffè bollente sulla testa della sgualdrina. Lei urlò dal dolore e lui si diresse verso la camera da letto. Si lavò con accuratezza, quasi a voler cancellare davanti al mondo ogni traccia della convivenza con quella donna, si infilò i jeans e afferrò il papillon dal tavolino.
Si infilò la giacca: è una giornata importante e devo essere sobrio ma elegante, impeccabile. Uscì dalla porta, senza nemmeno rivolgere lo sguardo verso la cucina da cui la sentiva singhiozzare, e venne avvolto dal dolce tepore delle giornate di primavera inoltrata. Via degli Obizzi e i suoi altissimi palazzi splendevano di vita: le finestre riflettevano i forti raggi solari intonati con l’immatura gioia dei suoi coetanei riuniti di fronte alla facoltà di Scienze della Formazione, distante pochi civici dal suo portone.

Si accorse di aver dimenticato in casa le chiavi dell’auto, poco male: una camminata poteva fargli solo bene in una giornata che era già iniziata male e che non prospettava alcun miglioramento.
Si avviò a passo stanco verso il Duomo tirando fuori dal taschino della giacca la seconda sigaretta. Dall’altro lato della strada una ragazza tutta felice parlava al telefono forse con quello che riteneva essere l’amore della sua vita. Ah, pensò guardandola, non pensare che duri e, soprattutto, non portartelo a letto finché ti propone solamente castelli di carta e cuscini sgualciti. La ragazza lo guardò, stupita e forse spaventata da quello strano tipo che la fissava senza vergogna. I capelli rossi circondavano un viso dolce di gioventù condito da un paio di occhiali dalle lenti scure.
«Scusami», disse rivolgendosi alla ragazza che aveva appena finito la telefonata, «ti andrebbe un caffè?».