Compiti a casa: essenziale esercizio quotidiano

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Ieri, una mattina come tante in una terza media. Chiamo S. alla lavagna per correggere uno dei due problemi di geometria assegnati per casa: mi risponde che non ha il quaderno, per cui non posso verificare lo svolgimento dei compiti, ma io insisto perché esca comunque. L’esercizio è piuttosto semplice, consiste nel calcolare la misura del raggio di una circonferenza partendo da un arco e dal suo angolo al centro, e comunque di una tipologia svolta almeno una ventina di volte in classe. Lo studente, inserito in fascia media, non uno zuccone quindi, non sa che pesci pigliare e di impostare la proporzione che dovrebbe portarlo alla circonferenza non se ne parla proprio. Ma il colmo viene raggiunto quando, calcolata finalmente grazie al mio aiuto la circonferenza, da questa non riesce a ricavare il raggio.

Questa breve premessa per dire che, perlomeno in matematica, l’esercizio, soprattutto quello personale dove ci si trova da soli a provare ad utilizzare gli «strumenti» che la scuola ci ha messo a disposizione, è fondamentale per riuscire nella materia. Senza questo, le procedure e le formule appaiono un’accozzaglia di cose senza senso che non si capisce da dove prendere.
L’ultimo rapporto Ocse dice che gli studenti italiani sono quelli più carichi di compiti a casa del mondo: ben 9 ore a settimana. Caspita, un’ora e trentasei minuti al giorno, esclusi sabato e domenica! Subito si sono levate le voci soddisfatte di parte dei genitori, quelli che dopo il lavoro preferiscono dedicarsi a spritz e palestra piuttosto che ai figli, e degli immancabili «esperti non si sa di cosa» che temono che il troppo lavoro blocchi lo sviluppo dei nostri ragazzi. D’altronde, la media degli altri paesi è di 4,9 ore.
Il rapporto Ocse, però, dice pure che tra gli italiani chi lavora a casa raggiunge poi risultati nettamente migliori rispetto a chi non lo fa.
Direi che non è facile dare un giudizio su dati che non tengono conto dell’organizzazione scolastica e, cosa di cui mai si parla, del tipo di atteggiamento e disciplina tenuti a lezione dagli studenti. Per esempio, lo studente di cui sopra è un gran simpaticone, gli piace molto venire a scuola, ride e si diverte con i compagni e, di conseguenza, segue ciò che si fa in modo molto superficiale. Magari gli sembrerà anche di aver capito ma poi, alla prova dei fatti, non è vero. Senza un lavoro di rinforzo e riflessione a casa come può sperare di appropriarsi degli insegnamenti? E, badate bene, questo comportamento è la norma, non l’eccezione. Se ieri mattina avessi controllato i quaderni di tutta la classe, sono abbastanza certa che sarebbero risultati inadempienti circa i due terzi degli alunni. Perché non l’ho fatto? Non sono una maestra delle primarie, non ho la vocazione della mamma, ritengo che i ragazzi vadano responsabilizzati e non ho nemmeno strumenti atti a convincerli a fare il loro dovere. Delle note ho già parlato, sono del tutto inutili: la giusta «punizione» per uno studente che non lavora sarà proprio la sua inadeguatezza.
In conclusione, secondo me i compiti a casa sono fondamentali per rinforzare ciò che si è fatto a scuola. Certo, devono essere adeguati allo scopo, nel quantitativo giusto e mai e poi mai punitivi. Spiace per i genitori che ai figli preferiscono i loro hobby, ma forse avrebbero dovuto pensarci prima.