Ambiente: l’utopistico accordo del Cop21

Venerdì pomeriggio alle 18 in punto a Parigi si è chiuso uno dei più grandi meeting internazionali che coinvolge quasi 200 paesi mondiali, ovvero la 21esima Conference of Parties sui cambiamenti climatici. Ops: doveva chiudersi.
Ebbene 12 giorni non sono bastati a raggiungere un accordo, nonostante già da molto prima dell’inizio di questo tour de force (30 novembre scorso) le varie nazioni partecipanti siano state invitate a proporre i loro impegni (Indc) di riduzione di emissioni di gas cosiddetti «climalteranti», che comprendono principalmente metano, anidride carbonica e protossido di azoto.

cop-paris-perspective-cropped

Buona l’idea di accelerare i tempi con questo metodo, in atto quest’anno per la prima volta da quando, nel 1992, all’Earth Summit di Rio de Janeiro si adottò il Protocollo di Kyoto; peccato per il risultato. In quest’ultima settimana e mezzo sono state presentate addirittura due bozze, l’ultima giovedì sera alle 21, ma, ahimè, dire «Ci siamo quasi» in continuazione non ha aiutato a chiudere i trattati entro la data stabilita.
Il grande scoglio dell’affollatissimo evento (si sono contati 50.000 partecipanti e 25.000 portavoce ufficiali dai governi delle nazioni facenti Gas-serraparte dell’accordo) è stato l’obiettivo dell’abbassamento della soglia del surriscaldamento globale a 2°C. Dal 1850 ad oggi c’è stato, infatti, un aumento di 0,85°C, a causa dell’alimentazione antropica dell’effetto serra, grazie a industrie (21%), abitazioni (6%), produzione di energia (35%), trasporti (14%), deforestazione (11%) e inquinamento ambientale agricolo (13%). Il raggiungimento di un obiettivo simile potrebbe avvenire solo grazie alla riduzione di gas serra dal 40 al 70% entro il 2050, ma nell’ultima bozza presentata non figurava più questo proposito, sostituito, invece, con la formula «neutralità delle emissioni», che in sostanza significa che si potrebbe emettere da una parte e compensare dall’altra. A riprova di questo basta sottolineare l’estromissione dalle trattative dell’inquinamento prodotto da navi e aerei, che viaggiando su rotte internazionali sono state escluse dai negoziatori per l’impossibilità di assegnare una quota di emissioni ad ogni paese. Eppure tre sono le grandi regole attorno alle quali si è discusso in questi giorni: 1. riduzione del consumo di risorse, 2. riutilizzo dei prodotti, e 3. riciclo dei rifiuti. Finora, far fronte a tutte queste problematiche spettava principalmente ai paesi «sviluppati» che nella stima dei finanziamenti per il clima del 7 ottobre scorso si sono impegnati con cento miliardi di dollari l’anno come sostegno per i paesi in via di sviluppo, dai quali deriva il 65% delle emissioni, secondo quanto riportato dal Segretario di Stato americano, John Kerry. Questi ultimi paesi, infatti, sono quelli più in difficoltà nel cercare tecnologie e supporti economici per la transizione verso un futuro più, ma i loro «compagni più grandi» avrebbero desiderato vederli assumersi le proprie responsabilità. Fino a giovedì sera Cina e India, il primo e terzo paese più inquinante al mondo l’hanno scampata: potranno mitigare con più calma il loro impatto ambientale e sembra che tutto sia rimasto così. Ieri alle 11:30, infatti, Laurent Fabius, Presidente della Conferenza nonché Ministro degli Esteri francese ha annunciato che la bozza è «corretta, ambiziosa, equilibrata e riflette tutte le parti, oltre ad essere smog-cinagiuridicamente equilibrata». Ambizioso è dire poco considerando che è stato stabilito il limite del riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C entro il 2020.
Dopo la 21esima COP, innumerevoli incontri internazionali sul tema, che si susseguono da 23 anni, 13 di trattative, si sarà riusciti finalmente a tirare fuori qualche soluzione concreta o ci si troverà di nuovo di fronte alla pilatesca formula «Promettiamo»? Fino a questo momento l’impressione è che si siano buttati soldi a vuoto, ma ogni voce eminente che esce dalle sale di Parigi rassicura che «si sta seguendo la strada giusta». Sperare che abbiamo ragione e che a Parigi non abbiano parlato solo del meteo nelle rispettive nazioni dei 196 partecipanti, non costa niente, per fortuna. Come se non bastasse il fattore «tempo» a far pensare che l’evento sia stato una discreta presa per il culo, c’è anche il curioso dettaglio dei principali partner e sponsor della Conferenza, tra i quali figurano una casa automobilistica, un’azienda produttrice di pneumatici, una società energetica legata ai combustibili fossili, banche, multinazionali e compagnie aeree. Promuovere un incontro internazionale promettendo dei risultati concreti sulla riduzione dell’impatto ambientale con questi presupposti è un po’ come dire di mettersi a dieta nel periodo natalizio. Ci credono tutti, però, a partire dal presidente Fabius che nella conclusiva plenaria è intervenuto, in lacrime, dichiarando di aver compiuto (finalmente) il passo decisivo per cambiare il mondo, citando pure Mandela. Sarà stata l’emozione di poter tornare a dormire la notte, dopo quelle passate a mettere d’accordo tutti, o si deve davvero festeggiare? Ironia della sorte: solo il tempo potrà rispondere. 

Debora Lupini