Veneto: la propaganda «anti-burqa» di Zaia

«Vieteremo anche in Veneto, come in Lombardia, il burqa negli edifici di competenza regionale e negli ospedali, facendo chiarezza su una norma statale», scrive su Facebook il governatore veneto Luca Zaia, esponente di spicco della Lega. «Approvata questa mattina dalla Giunta Regionale delibera che vieta di entrare a volto coperto negli ospedali e negli uffici regionali della Lombardia. Gli altri chiacchierano, la Lega Nord fa», ha scritto il 10 dicembre Massimiliano Romeo, consigliere leghista in regione Lombardia.

Il commento a un articolo del «Giornale di Vicenza»
Il commento a un articolo del «Giornale di Vicenza»

Dal basso della nostra piena promozione all’esame di diritto pubblico, proviamo a vedere perché queste due idee sono inutili e, in termini di tempo, piuttosto dispendiose. Iniziamo facendo un passo indietro: siamo nel 1975, nel bel mezzo degli anni di piombo. Il 22 maggio viene promulgata la legge numero 152, «Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico», che all’art. 5 afferma: «È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo». Il lettore attento si sarà già accorto che questa legge riguarda anche, ma non solo, il burqa e il niqab. Le cose si fanno più interessanti se si legge la sentenza del consiglio di Stato, il giudice amministrativo di secondo grado, del 19 giugno 2008, numero 3076: «È evidente che il burqa non costituisce una maschera, ma un tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con zaia-1aspetti di pratica religiosa», e poi «Ciò che rileva sotto il profilo giuridico è che non si è in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento». Il consiglio di Stato ritiene quindi che il burqa sia da contemplarsi entro quei «giustificati motivi» di cui parla la legge del 1975 ma aggiunge anche che «tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze».
Ora resta da capire se la legge regionale lombarda e la promessa legge veneta riguardano quei casi, citando la sentenza del consiglio di Stato, di «ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze». La sentenza mostra che il burqa è compreso neiBurqa_Afghanistan_01«giustificati motivi» se e solo se non viene utilizzato «in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino» e se la donna che porta il burqa non si rifiuta di toglierselo per attuare un riconoscimento. Ma quali sarebbero le «specifiche e settoriali esigenze» che permetterebbero al Veneto e alla Lombardia di legiferare diversamente? Nessuno lo sa: non ci risulta che queste due regioni siano particolarmente nel mirino dei terroristi di matrice islamica che invece, almeno per quanto riguarda l’Isis, sembrerebbero puntare di più a Roma. E poi, perché questo provvedimento dovrebbe riguardare solo gli ospedali e gli uffici regionali e non tutti i luoghi pubblici, come strade e parchi?
La questione è sottile e soltanto il Tar competente e, in caso di appello, il consiglio di Stato potranno mettere una pietra sopra questa discussione. Un’ultima considerazione: chi scrive vive a Padova, quindi in una delle due regioni di cui stiamo parlando: giro molto per il centro della città e, se devo essere sincero, non ho memoria di aver mai visto una donna con un burqa addosso, quindi mi è davvero difficile capire le «specifiche e settoriali esigenze» che permetterebbero al Veneto di legiferare in deroga alla sentenza del consiglio di Stato.