Coronavirus nell’Italia non sovrana: un cane che si morde la coda

Sembrava un pericolo remoto che avremmo continuato a osservare con un moderato timore e un pizzico di fascino per quelle misure d’isolamento che portavano alla mente film apocalittici; invece, il Coronavirus si è manifestato anche in Italia, con i primi casi accertati venerdì 21 febbraio, andati via via crescendo per i serrati controlli che sono stati messi a punto.

A partire da quella data, siamo tutti a conoscenza di ciò che si è prodotto lungo la Penisola. Nelle cosiddette zone rosse, il congelamento pressoché totale di ogni attività, con divieto di uscita dai confini per tutti gli abitanti. Nelle regioni, come il Piemonte e il Veneto, dove si sono registrati (poi in parte smentiti) svariati soggetti colpiti, i luoghi deputati all’istruzione sono chiusi, così come sono vietate manifestazioni di ogni tipo. Nel resto del Paese, dove le infezioni sono risultate finora numericamente contenute, comunque diffusa è l’apprensione, con misure talvolta oltremodo restrittive, come quella adottata dalle Marche, poi fermata dal TAR, di interrompere le lezioni scolastiche, pur non sussistendo un’effettiva condizione sanitaria che lo richiedesse, all’interno della Regione.

Su scala nazionale, sono però uniformi gli effetti nefasti sull’economia: non solo per via delle imprese a cui è impossibile produrre relativamente alla loro localizzazione in quelle aree geografiche interessate dalla quarantena, ma anche a causa dell’angoscia che è proliferata, tra gli italiani e non solo, riguardo alla propagazione di questa infezione sul territorio italiano. Infatti, i nostri connazionali, presi dal timore di subire il contagio, hanno iniziato a limitare uscite, acquisti, pasti nei ristoranti, viaggi. Allo stesso modo, si stanno comportando gli stranieri, terrorizzati dal mettere piede in uno Stato che vedono così fortemente colpito da questo inquietante virus. In sostanza, stanno piovendo disdette e calo di ordinativi che comportano danni non trascurabili al nostro sistema economico già non propriamente rigoglioso.

Eppure, che cosa avremmo potuto fare? Il Covid19 non si distingue per particolare mortalità (sebbene sia essa più elevata rispetto a una comune influenza) , tuttavia si trasmette piuttosto facilmente, facendo moltiplicare celermente i pazienti affetti, i quali, in una percentuale considerevole, necessitano di cure ospedaliere. Questo è il problema più ostico da fronteggiare: il cospicuo numero di ricoveri. In un Paese dotato di una fiorente sanità ciò non costituirebbe una questione particolarmente gravosa, ma così non può essere qui da noi, dopo aver tartassato per anni il nostro SSN, con tagli di fondi, chiusura di strutture e blocco del turnover. Ecco che queste sforbiciate ora presentano il loro salatissimo conto. I medici delle città maggiormente colpite, infatti, lamentano già la difficoltà di garantire i necessari posti letto, nonché i turni estenuanti a cui sono costretti per prestare la dovuta assistenza ai numerosi malati che si stanno presentando in questi giorni.

Comprendiamo, così, che l’Italia non ha possibilità di scelta: o lasciare proseguire il normale svolgimento della vita economico-sociale (pur con delle accortezze igieniche che dovrebbero sempre essere adottate) e far circolare il virus, con il rischio altissimo di migliaia di persone da accudire in ospedali afflitti dai tagli alla spesa e conseguentemente non attrezzati in modo adeguato; oppure, limitare le attività umane, sperando che il Coronavirus possa essere così contenuto, con, però, l’effetto di compromettere il prodotto interno lordo.
Questo è il cane che si morde la coda in uno Stato non dotato di sovranità monetaria (pensiamo invece all’iniezione di liquidità da parte della Banca Centrale Cinese) e sottoposto al pareggio di bilancio.