Cosa accadrà ora alla Grecia?

Cara Silvia,
Ho letto con molto interesse il suo «bestiario greco» e posso anche concordare con lei che sulla questione «Greferendum» si stiano dicendo delle cazzate immani. Ma lei cosa ne pensa? Abbia il coraggio di dirlo!

Eugenio

Il dimissionario Yanis Varoufakis
Yanis Varoufakis, ex ministro dell’economia greco


Caro Eugenio,
la sua domanda è molto precisa, eppure allo stesso tempo molto vaga: mi chiede se la scelta del referendum sia stata una mossa politicamente azzeccata da parte di Tsipras? Oppure ci stiamo chiedendo quali siano le implicazioni del gesto e dunque un’interpretazione più generale della situazione?
Nel primo caso, direi che la scelta di Tsipras è stata piuttosto ben congegnata. I negoziati erano ad un punto morto. Le proposte di Varoufakis venivano respinte in quanto giudicate troppo vaghe o insufficienti (cosa su cui si potrebbe discutere). A Tsipras si presentavano dunque due possibilità: la prima era accettare in toto le direttive della
troika, tradendo però il suo mandato e rischiando di perdere l’ampio sostegno popolare raccolto negli ultimi 5 anni; oppure interrompere totalmente il tavolo dei lavori e, per esempio, decidere di non pagare i debiti e dichiarare un default totale e non controllato. Quest’ultima possibilità, estrema, non era in linea con le scelte politiche di Tsipras, che ha preferito la via del negoziato e del compromesso con i creditori. Con la scelta del referendum ha così salvato capra e cavoli (almeno al momento): ha rimesso la scelta in mano ai votanti greci, in modo che non lo si potesse accusare di aver tradito i suoi elettori, e allo stesso tempo ha messo i creditori in una posizione imbarazzante, in quanto la loro eventuale indifferenza di fronte al risultato di uno strumento universalmente accettato come la punta di diamante della democrazia, quale il referendum, avrebbe reso almeno dubbia la loro buonafede. Era un rischio, ma a Tsipras è andata bene.


Tsipras

Tuttavia, venerdì ha iniziato a circolare la notizia che il nuovo piano, elaborato in collaborazione con dei tecnici francesi, sia anche peggio delle proposte della troika. A 9 giorni dal referendum, dunque, come dobbiamo leggere la situazione greca? Non sono un’esperta di geopolitica, né di relazioni internazionali. Ma ho comunque delle opinioni. Io credo che, innanzitutto, occorra ricordare come ciò che sta accadendo in Grecia abbia delle forti connotazioni politiche, e per la precisione una spiccata tendenza à la gauche. Ciò sembra talvolta dimenticato dai soliti noti che sperano sempre di farsi dare un passaggio nel carro del vincitore (quantomeno mediatico), quali gli anti-europeisti come Grillo e Salvini. Syriza non è anti-europeista, al contrario; Varoufakis era un ministro “marxista”; Syriza si definisce un partito democratico e di «sinistra radicale, che ha le sue radici nelle lotte popolari per l’indipendenza Greca, nei movimenti democratici, dei lavoratori e anti-fascisti in Grecia. Il partito comprende diverse correnti ideologiche e culture di sinistra, e costruisce la sua identità nella sintesi dei valori promossi dal movimento dei lavoratori con quelli ecologici, femministi, e dei nuovi movimenti sociali». Un linguaggio del genere la sinistra Italiana non oserebbe mai utilizzarlo – e nemmeno appartiene alla retorica del Movimento 5 stelle o, men che meno, della Lega Nord.
Ricordare questo aspetto è necessario per offrire una giusta prospettiva sulle vicende greche ed europee. Per quanto mi riguarda, credo che molto dell’ostilità della
troika derivi proprio dalla spiccata connotazione politica degli esponenti di Syriza. L’economia non è solo conti esatti ed asettica matematica, ma è sempre anche politica. Evidentemente, le proposte anti-austerità promosse da Tsipras e co. non piacevano ai creditori anche per queste ragioni. Lasciare troppo spazio ad una sinistra così radicale avrebbe, ad esempio, rafforzato i movimenti anti-austerità (e di sinistra) in Irlanda (dove sono in corso vari sommovimenti di cui qui in Italia si parla tuttavia molto poco) o in Spagna.
Detto questo, è altrettanto evidente che una linea dura e in toto «comunista» non avrebbe mai potuto funzionare per banali questioni di rapporti di potere. La Grecia oscilla tra l’essere in una posizione di vantaggio e svantaggio con i creditori. Da un lato la vicenda ha dei possibili risvolti economico finanziari che tutto sommato nessuno ha voglia di esplorare fino in fondo (il Grexit, il default, ecc). Dall’altro la collocazione internazionale della Grecia potrebbe spezzare il cordone Est dell’Europa e, in qualche modo, tendere la mano alla Russia di Putin. Tuttavia le dimissioni di Varoufakis, per quanto «consensuali», ci dicono una cosa: l’ormai celebre professore e ministro greco, probabilmente, non voleva prendersi la responsabilità di quanto sarebbe accaduto dopo il pur fortunato referendum. Il che è un po’ sospetto, dato che in teoria la vittoria del No avrebbe dovuto rafforzare la posizione della Grecia. Queste dimissioni però suggeriscono che ci sia dell’altro.
È comunque presto per poter offrire una previsione sui prossimi passi della vicenda, che, questo è certo, rimane centrale e di fondamentale importanza per intravedere il seguito economico e politico della nostra Europa, e in parte del mondo intero.

(aggiornato al 12 luglio 2015, ore 14:00)