David Begbie: quando l’ombra è arte

 Immagini: opere di Begbie

Lunedì chiuderà a Padova la mostra di David Begbie all’ArtePadova. L’artista di Edimburgo è stato il primo a sperimentare in arte l’utilizzo di uno strumento povero e moderno come la maglia d’acciaio per creare corpi umani con risultati eccezionali: sculture mutilate e reticolate raffiguranti corpi di uomini o donne già suggestive in sé per sé, ma ancor più stupefacente  la loro l’ombra proiettata sulle pareti.

David-Begbie-Studio-web

L’ombra evanescente, trasmettendo un’idea di solidità incredibile, fa scomparire la struttura materiale sembrando dotata di una propria anima, di un proprio corpo che si muove in base allo spostamento della luce. Proprio quest’ultimo è l’elemento chiave della mostra: in base alla sua posizione si possono creare ombre diverse, opere diverse: i pannelli illuminanti sono istallati direttamente dall’artista che pensa la struttura solida di acciaio in funzione della proiezione che poi potrà creare. La materialità viene offuscata da un’immagine evanescente molto più reale e solida dell’acciaio stesso; è un’ombra che vuole essere toccata.
Ciò che mi ha lasciata molto perplessa della mostra è l’essere arrivata in via Alberto da Padova, luogo della mostra, per caso. Fuori dall’edificio non si capiva nemmeno se gli oggetti interni fossero solo d’arredo: che fosse un’esposizione era proprio incomprensibile. A questa ambiguità si aggiunge il silenzio in città: nessun volantino, nessun manifesto che CHROMOS-2015-wire-mesh-sculpture-front2-web-fullindicasse l’evento, anche sul web tutto tace. In questi giorni Padova è così scossa da un guazzabuglio di polemiche sul nebuloso tema del gender (parola di cui sono piene troppe bocche e che sfido chiunque a definire) da non riuscire a pubblicizzare la bellezza, da lasciare che l’Arte stia lì, dimenticata. L’arte non fa scalpore, l’arte non fa parlare. Due anni fa ho scelto questa città perché da sempre è simbolo di cultura, di discussione, di dialogo costruttivo ma troppe volte, ultimamente, mi sembra che vengano negate possibilità di confronto con motivi creati a tavolino (si veda il caso della scrittrice Paola Tellaroli, gli ultimi tweet di Alessandro Gassman, la recentissima vicenda di Michela Marzano). E se proprio le istituzioni vogliono eliminare le opportunità per parlare di grandi paroloni fumosi o oscuri, che sottraggano, almeno, qualche parola alle continue diatribe e la spendano sulle belle iniziative padovane, di cui nessuno parla. In cambio di questo poco fiato, prometto che contemplerò l’arte in silenzio, senza fare il minimo rumore. Giuro che starò zitta.

Giada Arcidiacono