Il «Divorzio» tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia: come esplose il debito pubblico
Nel luglio del 1981, ci fu un cambiamento radicale nella politica monetaria italiana, attraverso l’introduzione del principio d’indipendenza della banca centrale. Questo storico passaggio fu consegnato alla Storia come «Divorzio 1981», tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia.
Fino al Divorzio, la Banca d’Italia aveva l’obbligo di svolgere un ruolo di prestatore di ultima istanza nelle aste di rifinanziamento del debito pubblico. Questo consisteva nell’acquistare il quantitativo residuale di titoli non assorbito dagli agenti del mercato. La Banca d’Italia svolgeva la sua funzione stampando una massa monetaria atta all’acquisto del quantitativo di titoli rimasto invenduto e metteva al suo passivo il quantitativo di moneta utilizzato, mentre nel suo attivo posizionava i titoli di Stato acquistati. In questa maniera, il tasso d’interesse sui titoli di Stato veniva tenuto sotto controllo già a livello politico, si poteva finanziare la spesa pubblica con facilità e sicurezza e le politiche della Banca d’Italia erano necessariamente collegate alle scelte politiche della classe dirigente rappresentante del popolo: un legame fondamentale, che uno Stato sovrano dovrebbe recuperare come forma di tutela rispetto al mercato.
Con una circolare risalente al 12 febbraio del 1981, il Ministro Beniamino Andreatta diede al governatore della Banca d’Italia Carlo Azelio Ciampi la facoltà di esimersi dall’acquistare i titoli invenduti e questo ebbe delle ripercussioni nei parametri macroeconomici italiani. Di fatto, il tasso d’interesse sui nostri titoli di Stato non venne più determinato a livello politico, ma cominciò ad essere determinato dal mercato, subendo una crescita importante. La motivazione della crescita del tasso d’interesse era molto semplice: gli agenti del mercato più influenti, confluivano nella medesima posizione d’attesa, senza acquistare a tassi bassi, obbligando di fatto il Tesoro a piazzare i titoli con un rendimento maggiorato. Questo faceva aumentare il profitto degli acquirenti sull’interesse attivo, mentre, dall’altra parte, faceva aumentare la spesa per interessi sul debito pubblico da parte dello Stato. Questa spirale diede il via all’aumento smisurato del rapporto debito/pil italiano (vedi grafico). Fonte: https://paolobecchi.wordpress.com/
Dall’andamento, si comprende nettamente, anche da un punto di vista squisitamente visivo, il collegamento tra il Divorzio e la crescita esponenziale del rapporto, che passò dal 58% del 1981 al 121% del 1994. Con gli occhi attuali, dopo 25 anni di avanzi primari consecutivi (escludendo il 2009), comprendiamo benissimo l’importanza dell’aumento della spesa per interessi sul debito pubblico. Essa fu causata da questa scelta politica, nata come lotta ossessiva allo spauracchio dell’inflazione. L’inflazione calò drasticamente, ma s’interruppe anche la crescita del salario reale (salario depurato dall’effetto dell’inflazione). Parlare oggi d’insostenibilità dei conti pubblici, con il famoso «italiani, avete vissuto sopra le vostre possibilità», dopo aver avallato queste scelte, suona alquanto singolare.
Un effetto collaterale particolarmente importante del Divorzio fu la spinta data agli investimenti privati delle imprese italiane dall’innalzamento del rendimento dei titoli di Stato, che si posizionarono più sul profitto a breve termine e, quindi, sul finanziario. Esse decisero di spostare gran parte dei loro utili sull’acquisto di titoli di Stato del Tesoro, limitando gli investimenti in ricerca e sviluppo, con tutte le conseguenze di competitività che questa scelta ebbe successivamente.
Per la Storia, non esiste alcuna legge di Stato approvata dal Parlamento sovrano su questa scelta politica, come confermato dallo stesso Andretta nel 1991. In un articolo comparso sul Sole24Ore scrisse: «Il Divorzio non ebbe allora il consenso politico, né lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come congiura aperta tra il ministro e il governatore, divenne prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso abolire per ritornare alle più confortevoli abitudini del passato».
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.