L’esordio degli «Oberon»: fra miti, medioevo e prog

The mountain of fate
Oberon
Autoprodotto – 2017

Un parallelismo fra i miti greci e la nostra società in chiave rock e progressive, un Lp ricco di contaminazioni è l’esordio degli «Oberon», al secolo Yuri Crescenzio (chitarre, basso, tastiere ed effetti) e Alberto Baretta (batteria) con la partecipazione di Elena Dainese alla voce. Due diciannovenni veneti che riescono finalmente a creare qualcosa di diverso e di originale rispetto alla massa indistinta di poltiglia musicale che ci circonda. Dopo l’introduttiva Inner flame, si passa subito al sodo con la labirintica The maze e poi è tutto un crescendo con The golden kingEvil box e via discorrendo.
Fa impressione la precisione armonica e strumentale dell’album, se confrontata con la «tenera» età dei musicisti: il polistrumentista Yuri Crescenzio riesce a esprimere una grande creatività con atmosfere a tratti medievali, quasi da epopea. È molto semplice trovare la fonte di questa ispirazione nei Genesis, anche se gli «Oberon» hanno saputo tradurre gli insegnamenti in un linguaggio originale che gli calza a pennello. Un lavoro meritorio è anche quello di Filippo Lazzarin in fase di registrazione: il risultato è un suono perfetto, con la voce di Elena Dainese che funge come vero e proprio strumento musicale, le chitarre e le tastiere in primo piano e la batteria sempre presente a scandire le battute di questo viaggio nel tempo.
Ogni emozione e ogni significato che deriva dalle storie antiche prese dagli «Oberon» ruota intorno al Monte Olimpo, simbolo sia di estrema negatività (se visto come un ostacolo) sia di grande positività, perché – una volta raggiunta la cima – si raggiunge una sorta di liberazione da tutti i mali. Un’opera ambiziosa, che tocca temi come la ricerca dell’impossibile, la libertà, il narcisismo, l’odio e la guerra. Un’opera ambiziosa, dicevamo, che però (contando anche l’età del duo) può dirsi perfettamente riuscita.