Genova: viaggio fra carruggi e prostitute

Dal nostro inviato Genova

Genova, centro storico. Sono tante, troppe per non essere notate, troppo poche per costituire un problema. Stiamo parlando delle prostitute che, al loro posto su sedie di fortuna, popolano i vicoli raccontati da De André. Intorno alla celeberrima via del Campo, soprattutto prima di giungere al quartiere della Maddalena, donne in gran parte giovani e dalla pelle scura cercano clienti. È possibile vederle sul ciglio dei vicoli in piedi o sedute su un gradino o su una sedia, in attesa che qualcuno si faccia avanti o accetti le loro offerte. Il rapporto sarà poi consumato dentro ad appartamenti bui, sporchi e fatiscenti. Se la maggior parte di loro proviene dal continente africano, ci sono poi molte asiatiche, qualcuna dell’est Europa e pure qualche italiana.

54250-1


Abbiamo conosciuto Concetta (nome di fantasia), sessantenne siciliana da 35 anni nei vicoli genovesi: ci ha spiegato che il tariffario medio per il «tutto incluso» è pari a 30 euro, 50 se si decide di fare sesso senza preservativo. Quest’ultimo dato è importante: ci mostra come la salute di queste donne valga solo venti euro. La donna abita in un bilocale: un gabinetto striminzito come l’ingresso e poi una stanza con un letto matrimoniale e poco altro. Non c’è la corrente elettrica, per questo Concetta è costretta a utilizzare dei fari molto potenti a batteria. «Ho tre nipoti bellissime: la più grande ha 19 anni e forse un giorno le spiegherò cosa faccio», ci racconta. La parola «prostituta» è assolutamente tabù nei vicoli genovesi, lo stesso vale per altre varianti volte a indicare il mestiere più vecchio del mondo: si parla piuttosto di WINART-39930_protitute_genova01g«ragazze», di «quelle» e delle «altre». «Io non sono una troia», ci dice Concetta: «Preferisco definirmi una libera professionista», azzarda ridendo.
La prostituzione, tollerata dai residenti e dai commercianti, fa parte del folklore del centro storico: i turisti, soprattutto gli italiani che vengono a Genova per la prima volta, apprezzano il fatto che questa parte della città non sia cambiata più di tanto negli ultimi decenni. «È la prima volta che vengo qui – ci racconta un ragazzo – Conosco via del Campo e le altre strade grazie alle canzoni di De André e sono stupito che, nonostante gli anni passati, non ci siano tante differenze». In effetti di «graziose», come le chiamava il cantautore, ce ne sono ancora tante e non fanno niente per nascondersi, e i turisti – anche non usufruendo dei loro servizi – sembrano gradire o al limite non disdegnare la loro presenza.
Anche il settore della prostituzione è stato colpito dalla crisi: ci viene detto che ogni donna ha in media quattro o cinque clienti al giorno, quasi tutti oltre i sessant’anni, molti sposati, nessuno di loro naviga nell’oro. In effetti consumare un rapporto sessuale in un’abitazione fatiscente è qualcosa che, potendo, chiunque vorrebbe evitare.
Facendo due conti con i dati che ci sono stati forniti, riguardo i quali non possiamo certo fare completo affidamento, risulta una rendita media di circa 4500 euro mensili, quindi 54mila annui. Una cifra non da poco, contando che – a meno di «stratagemmi» (c’è chi dichiara al fisco le entrate spacciandosi per massaggiatrice, per esempio) – è tutto «nero»: «Non posso fermarmi: soldi da parte ne ho pochi e una pensione non la vedrò mai».
Se è vero che la prostituzione in sé non è reato, è anche vero che lo sono sia lo sfruttamento che l’evasione fiscale, e mentre rispetto al primo esiste un’alternativa, incappare nella seconda è quasi inevitabile. Il giro di nero nel centro storico genovese è stimabile in qualche milione di euro, contando che di prostitute ce ne sono a decine. Lauti guadagni che per molte di loro non equivalgono a un tenore di vita elevato: «Mi tengo tutti i soldi perché sto comprando case in Romania, così da avere lucciolegenovauna rendita quando smetterò. Ancora pochi anni e poi sarà tutto finito», ci confida una ragazza che afferma di avere 25 anni.
Se nel 2009 l’allora assessore comunale ai Servizi sociali e alle Pari opportunità Roberta Papi aveva proposto di mettere delle regole alla prostituzione «casalinga» («Il fenomeno esiste e non lo debellerà mai nessuno. Allora lasciamo che queste persone seguano la loro scelta, che reato non è, però lo facciano stando “dentro” la società, rispettando la sensibilità»), sette anni dopo sembra che queste donne, pur non disturbando la sensibilità di nessuno, vivano «fuori» dalla società: è difficile concepire, nella zona più turistica di un grande centro dell’industrializzatissima Italia settentrionale, delle abitazioni senza luce, tanto per fare un esempio.
Il punto è che, nonostante l’ottimismo sfoggiato nel 2009 dalla Papi, le prostitute non potranno mai essere «dentro la società», non potranno mai farne parte all’interno di un meccanismo fatto di uguaglianza e di rispetto reciproco. Fare la prostituta è, al pari di altri mestieri in altri tempi e in altri luoghi, un mestiere di cui pochi si vanterebbero in pubblico. Chi scrive non vede nella prostituzione volontaria una sottomissione della donna e sarebbe il primo a volerla legalizzare, però bisogna essere realisti: nell’immaginario comune, che poi è ciò contro cui ci scontriamo ogni giorno, la prostituta non avrà mai la stessa forza sociale di una commessa o di un’operaia, rimanendo nel femminile. Per quanto riguarda la declinazione maschile del fenomeno, è indubbiamente vero che lo gigolò è visto dalle masse come qualcuno di più emancipato di una troia. Questo perché, da che mondo è mondo, l’uomo che fa sesso con tante donne è figo, la donna che fa uguale è puttana.
E se è vero, come ci ha raccontato qualche residente, che una ventina di anni fa con alcune prostitute si aveva un legame di «buon vicinato», è davvero difficile pensare che queste ragazze possano davvero far parte della società in cui vivono: non essere più bestie da utilizzare in quel ghetto che è il centro storico, ma divenire davvero cittadine attive, responsabili e sovrane di ciò che le circonda.