I giovani sono l’unica cura alla mixofobia

La mixofobia non è più semplicemente un vago sentimento d’odio e paura verso lo straniero, il diverso, bensì un sentimento di cieco e logorante terrore che il mixofobo prova nel mescolarsi con la realtà quotidiana, multietnica di per sé, nella quale si è inseriti e per cui si prova sempre più insofferenza e intolleranza, una sensazione viva e pulsante di un qualche invasore straniero in terra natia che non dovrebbe essere dov’è, per il quale non vi è assolutamente accettazione.
Un elemento che fomenta la mixofobia è l’impossibilità che viene data allo straniero di integrarsi, seppure sia proprio questo ciò che il mixofobo vuole: si creano muri per difendersi dal pericolo. Chi ha paura fa appello a leader in grado di difenderli, lasciando loro in mano un potere che rischia di sfociare nella tirannia: i politici sfruttano a loro vantaggio la mixofobia, promettendo protezione dallo straniero temuto dal mixofobo in cambio di voti elettorali.
Aiutare lo straniero a integrarsi andrebbe a loro svantaggio, perciò non si permette che ciò accada: gli stanieri sono a tutti gli effetti «vittime» di tali processi di emarginazione sociale. La vittimizzazione tuttavia (riconoscimento della condizione di essere o essere stati vittima) non ne nobilita i soggetti, ma fomenta il loro rabbia e rancore e le priva della sensibilità necessaria a cambiare le modalità di una concatenazione circolare di eventi che l’antropologo Gregory Bateston chiama «Catene Schismogenetiche», (una sorta di circolo vizioso autodistruttivo ed etero-distruttivo) attraverso le quali gruppi e individui vengono inglobati nella xenofobia senza vedere una reale via d’uscita.
Non serve fare appello a chissà quale memoria storica per avere ben chiaro in mente quanti uomini politici fanno perno sulla paura dell’altro per accalappiare consensi di chi non vede via d’uscita se non nella politica aggressiva di coloro che si rivelano poi, semplicemente, speculatori delle paure umane. Aiutare lo straniero a integrarsi andrebbe a loro svantaggio, perciò non si permette che ciò accada: gli stanieri sono a tutti gli effetti vittime di tali processi di emarginazione sociale, capri espiatori di ogni sorta di male.
Una speranza di «integrazione» sembra arrivare dai giovani, i quali hanno abbracciato il «diverso» con un sentimento di mixofilia, un vero e proprio desiderio di conoscere, capirsi, mescolarsi e provare nuove esperienze, sono più propensi ad accettare ciò che per loro non è più novità, ossia la multi-etnicità che negli ultimi decenni sta diventando parte integrante della quotidianità: parlare di integrazione, nel senso più ampio del termine, risulta un risultato impossibile da raggiungere, poiché utopico seppur idealmente efficace ed auspicabile, in quanto è pressoché impossibile una commistione di culture differenti e un mantenimento integrale della loro identità. Richard Sennett, sociologo e scritture statunitense, propone una strategia condensata in un suo aforisma: «Il modo migliore per entrare in contatto con la differenza è quello di cooperare in modo informale e aperto».