Il giornalismo spiegato a Matteo Renzi

Ha fatto molto discutere Di padre in figlio, il libro del giornalista del Fatto Marco Lillo (ed. PaperFirst), in cui vengono riportate carte inedite che uniscono Matteo Renzi e suo padre Tiziano allo scandalo Consip, fra i documenti riportati ci sono anche molte intercettazioni riguardanti l’inchiesta in corso. Martedì scorso, dopo le prime anticipazioni del volume, l’ex premier ha commentato: «Nel merito queste intercettazioni ribadiscono la mia serietà visto che quando scoppia lo scandalo Consip chiamo mio padre per dirgli: “Babbo, questo non è un gioco, devi dire la verità, solo la verità”»; per poi proseguire con la solita litania familiare: «Mio padre non ha mai visto un tribunale fintantoché suo figlio è diventato premier. Fino a quel momento ha vissuto tranquillamente la sua vita, esuberante e bella: ha 66 anni e proprio sabato scorso ha festeggiato i 45 anni di matrimonio. Quattro figli, nove nipoti, gli scout, il coro della chiesa, il suo lavoro e naturalmente la passione civica per Rignano: è un uomo felice». Salvo poi aggiungere una frase da cui è immediato dedurre che il segretario del Pd non ha ben chiaro cosa sia il giornalismo: «Politicamente parlando le intercettazioni pubblicate mi fanno un regalo».
A costo di risultare noiosi e ripetitivi, occorre riportare (per l’ennesima volta) una frase di Pulitzer: «Il giornalismo è il cane da guardia del potere», dei tre poteri, per essere precisi. L’informazione è (o almeno dovrebbe essere) l’occhio vigile che rende partecipi i cittadini delle azioni del potere, anche quando questo non ha alcun interesse a divulgarle. Le intercettazioni in questione, al di là della loro legittimità, sono forse penalmente irrilevanti ma di certo politicamente essenziali. Quindi Marco Lillo ha fatto semplicemente il suo lavoro, se poi per aver compiuto il suo dovere di giornalista andrà a processo, allora quello sarà un altro discorso.
Renzi, anziché arrampicarsi insieme alla sua adepta Alessandra Moretti (e a tanti altri), anziché fare polemica sull’operato di Lillo oppure parlare del «regalo» che Di padre in figlio gli avrebbe fatto, dovrebbe solo tacere. Se ritiene che che sia stato pubblicato un falso, allora quereli il giornalista, in caso contrario non c’è nulla da dire. Il libro di cui stiamo parlando offre un ottima cronaca del caso Consip e della presenza di Tiziano e Matteo Renzi, più o meno direttamente, dentro all’inchiesta. Non importa se il materiale pubblicato è penalmente rilevante o meno, se Marco Lillo ha deciso di scriverci un libro significa che ha ritenuto che quelle informazioni dovessero essere di dominio pubblico, e per compiere questa scelta si è affidato alla propria esperienza e alla propria sensibilità.
Ci rivolgiamo non solo a Renzi, ma anche alla sua adepta Alessandra Moretti, la quale da sempre ha paura di guardarsi dentro perché potrebbe trovarci il vuoto più assoluto. Questa è informazione, che piaccia o meno a lorsignori, e Marco Lillo non ha fatto altro che darci la possibilità di giudicare in prima persona l’importanza di quelle intercettazioni. Se pensiamo che siano irrilevanti, almeno lo avremo deciso noi.