Il Governo (a parole) parte male

È stato una sorta di gravidanza, con alti e bassi umorali, corse al Colle, falsi allarmi, momenti di angoscia, ma, alla fine, il Governo è venuto alla luce, con buona pace di chi lodava il Presidente Mattarella, non tanto, come andava dicendo, per aver rispettato i dettami costituzionali, ma per aver cercato di impedire che quelle due forze non propriamente aderenti agli schemi conquistassero Palazzo Chigi. Invece, sembra che il voto popolare abbia trovato una sua corrispondenza in questo novello esecutivo formato dalle forze vincitrici, Movimento 5 Stelle e Lega, le quali si sono spartite i vari ministeri, ricorrendo a nomi interni ai loro partiti, ma anche a dei tecnici.

Tra i discateri affidati agli ormai ex padani troviamo l’Interno, che è stato destinato al leader Matteo Salvini e quello per la famiglia e le disabilità, in cui si è insediato Lorenzo Fontana. Entrambi, in questi pochi giorni trascorsi dopo il giuramento, hanno già reso frizzante l’opinione pubblica, a causa di dichiarazioni non proprio politicamente corrette.

Incominciamo dal Ministro Fontana. 38enne, vicesegretario federale della Lega Nord, risulta di forte ispirazione cattolica, tratto che si evince anche da uno dei suoi due titoli accademici, la laurea in Storia della Civiltà Cristiana. Il suo ruolo ministeriale, deduciamo già dalle prime mosse, sarà fortemente condizionato dalle sue convinzioni da fedele e sicuramente lo sono state le sue prime dichiarazioni che hanno destato scalpore e, a tratti, preoccupazione. La prima riguarda le famiglie arcobaleno: il neo ministro ha affermato, categorico, che queste non esistono, almeno per la legge. Questa esternazione in poche ore ha svegliato lo sdegno di tutta la comunità LGBT e dei suoi sostenitori, che ritengono inammissibile la negazione dell’esistenza di una realtà che, piacendo o no, è parte della società italiana. Gay, lesbiche, ecc. si sono ritenuti esclusi fin da subito dalle tutele di questo nuovo governo e, agguerriti, hanno immediatamente scatenato campagne per fronteggiare quello che, a loro dire, è un pericolo.

Difficile riuscire a smarcarsi da una presa di posizione tanto netta e cristallina, tuttavia Fontana ha cercato di aggiustare il tiro facendo presente che i diritti civili per gli omosessuali non sono parte del contratto firmato da leghisti e pentastellati. Probabilmente, sarebbe bastato limitarsi a questo, senza impelagarsi in complotti «dell’élite gay», per rimanere, sì fermo nelle sue idee, ma equidistante e rispettoso nei confronti di tutti i cittadini, a prescindere dalla loro sessualità.

Altro punto che Fontana ha toccato è l’aborto. In questo caso, però, le sue parole sono state veramente strumentalizzate; infatti, pur essendo evidente la sua personale contrarietà a questa pratica, egli non ha certamente proposto di metterla fuori legge, ma ha auspicato che se ne ricorra sempre meno. Questo è condivisibile anche da sostenitori dell’aborto, poiché, ricordiamolo, non si tratta di una passeggiata di salute, ma di una scelta che si trascina dietro sofferenza e segni psicologici indelebili: ergo, prevenirne l’uso, ove possibile, non può che essere una proposta ragionevole. Inoltre, un ministro non può legiferare, motivo per cui, solo una maggioranza (che su questo tema non c’è) potrebbe stravolgere la legge sull’interruzione della gravidanza.

Passando, invece, al Ministro dell’Interno Salvini, vediamo come aver annunciato, in tema di immigrazione, che «la pacchia è finita» ha già causato i primi malumori. Il capo politico del Carroccio, infatti, c’era da aspettarselo, non ha deposto il suo linguaggio colorito e schietto  (dopotutto, non sono una giacca e una cravatta a cambiare un soggetto). Questo, se per scaldare la folla amica può risultare vincente, gli si ritorce contro di fronte alla platea di avversari. Così, gli attivisti e i cittadini a favore dell’immigrazione incontrollata, come Roberto Saviano, gli si sono lanciati contro accusandolo di voler affondare i barconi e di considerare una «pacchia» il morire annegati. Addirittura, c’è chi lo addita come responsabile morale dell’assassinio di un ragazzo maliano sfruttato dal caporalato in Calabria, senza che nemmeno si conoscano l’identità dell’esecutore e il movente.

È chiaro che neanche Salvini, pur volendo combattere i flussi irregolari in maniera ferma, gioisca della tragica fine di orde di disperati, ma, adottando quelle parole, ha prestato il fianco ai suoi detrattori, i quali, tuttavia, non hanno fatto di meglio in termini comunicativi, rasentando il ridicolo.