Hai solo il 6% di probabilità di laurearti se hai almeno un genitore con la licenza media

Il Dottor Diego Begnozzi, consulente business & policy impact per The European House- Ambrosetti, nel contesto della ricerca Università 5.0 ha fatto una scoperta che, oggettivamente e amaramente, non è neppure così sorprendente. Nel nostro Paese, i dati che concernono l’istruzione universitaria sono preoccupanti. Infatti, dal suddetto lavoro emerge che si costituisce una sorta di ereditarietà del titolo di studio.
Che cosa significa questo? La probabilità di laurearsi ha un incremento di ben dieci volte, ossia passa dal 6 a 60%, se almeno uno dei due genitori è laureato.

Spieghiamo meglio: chi ha almeno la madre o il padre con la corona d’alloro sul capo ha il 60% di probabilità di raggiungere lo stesso traguardo. Coloro che sono stati generati da almeno un diplomato hanno esattamente la metà di chance: il 30%. Questa percentuale si flette drasticamente fino al 6% per i figli con almeno un genitore che è stato sui libri solo fino alla terza media.

Sono varie le cause che si possono individuare alla base di questo quadro piuttosto scoraggiante.

Come immaginabile, le spese universitarie costituiscono un ostacolo significativo. L’università italiana, infatti, si posiziona al quarto posto in Unione Europea per costi a carico delle famiglie. Va precisato che per gli studenti a bassissimo reddito l’accesso agli studi accademici è garantito gratuitamente, tuttavia la soglia è talmente bassa che viene facilmente superata; così, anche ragazzi non poverissimi, ma nemmeno in condizioni economiche serene, si ritrovano a dover sborsare cifre considerevoli, fatto che sicuramente scoraggia molti di loro.

Occorre poi tenere presente il sottilissimo divario di salario tra laureati e diplomati. Trascorsi tra i 3 e 5 anni di lavoro, non è significativa la differenza tra quanto guadagna un laureato e quanto un diplomato. Quindi,  dal momento che investire nel proseguimento degli studi non garantisce un ritorno economico di breve periodo, i giovani sono nettamente disincentivati a continuare con l’apprendimento una volta terminate le scuole superiori e tendono a buttarsi nella ricerca di un lavoro, per quanto se ne possa trovare di stabile e ben retribuito al giorno d’oggi.

Deduciamo, ribadendo l’evidenza degli ultimi decenni, che l’ascensore sociale è guasto. O meglio, qualcuno l’ha volontariamente messo fuoriuso e nessuno si sta dando da fare per ripristinare le sue funzioni. Di conseguenza, rappresenta ormai un’eccezione il miglioramento socio-economico di chi è nato in un contesto modesto. Questo ci riporta a una costruzione della società che sembrava ormai superata, ma che, al contrario, è attualissima: la divisione in classi, classi statiche destinate a conservarsi nel tempo, rinnovandosi, ma contemporaneamente rimanendo le stesse di generazione in generazione.

Anche in questo caso, tuttavia, non serve disperarsi, giacché la soluzione è politica, ergo dipendente dalla volontà umana e, se siamo ancora in democrazia, questa è corrispondente a quella democratica. Insomma, dipende dalle nostre scelte se spezzare questa catena di ingiustizia sociale ripristinando quanto disposto dall’articolo 3 comma 2 della Costituzione, il quale sancisce l’uguaglianza sostanziale tra cittadini, assicurata dall’intervento statale (spesa pubblicata senza vincoli di bilancio). Serve, però, un cambiamento radicale del nostro modello politico-economico in chiave socialdemocratica, che non è nient’altro che un ritorno al pieno rispetto del dettame costituzionale, rigettando l’impianto neoliberista europeista che ha generato, tra gli altri, i danni che abbiamo narrato in termini di istruzione.