I politici e le fallacie argomentative

Mettendovi comodi davanti al televisore, magari alla visione di un talk show politico, vi sarà capitato di avere un dubbio. L’argomentazione espressa dal politico di turno in risposta alla domanda del conduttore non vi ha convinto del tutto. O meglio, inizialmente vi è parsa logica, ma scavando un attimo col ragionamento avete colto qualcosa che non quadra. Vi siete trovati davanti a una fallacia argomentativa.

Una fallacia argomentativa è un errore nascosto all’interno di un’argomentazione, composta da premesse e da una conclusione, che apparentemente pare filare anche da un punto di vista logico, ma che in realtà nasconde al suo interno delle violazioni di regole logiche che rendono invalido l’argomentazione stessa. Faremo qualche esempio di fallacie argomentative, prendendo in considerazione quelle più frequenti nei dibattiti o nei comizi politici.

Una delle fallacie più utilizzate dai politici si chiama «ignoratio elenchi». Prendiamo in considerazione un faccia a faccia tra un conduttore particolarmente ispirato e un politico che debba fornire delle risposte. Questa fallacia si commette nel momento in cui, posta una determinata argomentazione, anziché andare a comporre un ragionamento che abbia al suo culmine una conclusione su quello stesso argomento, il politico compie una virata utilizzando artifici linguistici del tipo «ma il punto non è questo», per poi spostarsi e concludere su tema totalmente irrilevante rispetto all’argomento iniziale, magari proposto da una domanda del conduttore. Quando è complesso andare a rispondere a una domanda ben formulata e pungente, ecco l’utilizzo di questa fallacia.

Si avvicina al medesimo ragionamento anche la cosiddetta «fallacia del manichino». Prendiamo in considerazione un confronto tra due politici di schieramenti opposti. La «fallacia del manichino» si verifica nel momento in cui, invece di argomentare per smontare la tesi del suo antagonista, il politico solleva delle critiche su un’argomentazione decisamente più congeniale o semplice da confutare.

E che dire delle allusioni? Arriva un momento in cui, pur attaccandosi sui muri, l’argomentazione dell’antagonista risulta essere inattaccabile e realistica. Come fare, da avversario politico, a uscire comunque rafforzato al termine del confronto? Uso un’allusione, chiaramente!

«Il mio interlocutore, STAVOLTA, ha detto semplicemente le cose come stanno».

Attraverso il termine «stavolta» , si attiva un processo d’inferenza negli ascoltatori del programma televisivo, che fa giungere a un significato del parlante inteso dal politico: è vero che questa volta ha detto le cose come stanno, ma in tanti altri casi non è stato così.

Non possiamo non fare un passaggio sulla «fallacia ad populum» . Essa si commette quando si trae una conclusione appoggiandosi a un appello, che non ha alcun rilievo, rispetto a delle convinzioni insite nelle convinzioni della popolazione.

E termino con le fallacie più utilizzate: le «fallacie ad hominem». In questi casi non c’è alcuna argomentazione che cerca, in un modo o nell’altro di smontare l’argomentazione dell’antagonista. C’è semplicemente un attacco personale, che abbia come effetto la perdita di peso dell’argomentazione.

La più classica tipologia di «fallacia ad hominem» che abbiamo visto nel dibattito politico in questi ultimi anni è «l’accusa di incompetenza», che nega le conoscenze specifiche del soggetto che argomenta per rendere la sua idea sostanzialmente irrilevante.

Argomentazione:«In una condizione economica come quella attuale, bisognerebbe aumentare il deficit pubblico per sostenere il sistema privato in ginocchio».

Risposta: «Il collega deputato non ha alcun titolo accademico per argomentare in maniera credibile su questi temi».