L’identità di una terra non si acquisisce emettendo un vagito al suo interno

Capita un mattino di aprire i social network e trovarsi le favolette senza barriere e senza patria dei pro Ius Soli  e, peggio ancora, i tentativi meschini di chi vuole colpevolizzare i contrari a questa riforma a colpi di «fascista» e «razzista» (un raccapricciante twit di un account dell’Unicef): non si sa se ridere o rammaricarsi per l’infimo livello delle suddette argomentazioni!
Da questi atteggiamenti si evince il bisogno di fare chiarezza su concetti quali “stato” “cittadinanza”, “modi di acquisto della cittadinanza”: si scoprirebbero mondi sconosciuti di principi giuridici imprescindibili caratterizzanti l’istituzione statale, magari qualcuno si accorgerebbe di star svilendo lo stato italiano con le sue fantasie e che i bambini per cui si strappa le vesti sono sottoposti a tutte le garanzie che permettono loro di vivere dignitosamente all’interno del nostro Paese; addirittura, molti di loro saranno riconosciuti come cittadini italiani molto prima del compimento dei diciotto anni, pur con la legge vigente. Infatti, il genitore straniero che, dopo aver trascorso dieci anni qui ottiene lo status di cittadino, lo trasmette anche ai figli minori nati in Italia: insomma, se la mamma e il papà di Ahmed hanno vissuto e lavorato a Como già da sette anni prima della sua nascita, il piccolo, a soli tre anni, diventerà italiano.
Spiace veramente vedere come molti siano ancora rimasti ai tempi in cui, facendosi le canne, blateravano su un mondo senza confini. I limiti ci sono, ma non sono né buoni, né cattivi: sono necessari per amministrare, organizzarsi, vivere. Inoltre, è bene sottolineare che l’identità di una terra non si acquisisce emettendo un vagito all’interno di essa, ma respirandola anno dopo anno, imparando, assorbendo la sua cultura, entrando a far parte di essa. Su questo, anche parecchi italiani autoctoni dovrebbero lavorare.
Non facciamoci travolgere da sensi di colpa iniettati dal pensiero politicamente corretto: affermare quanto sopra non è sintomo di cattiveria, volontà di discriminare o asserire l’inferiorità di chi ha origini estere; nessuno, mantenendo lo Ius Sanguinis, verrà allontanato dall’Italia né rischierà la vita, ma continuerà a godere della nostra istruzione, della nostra sanità, di tutti i nostri servizi, com’è giusto che un essere umano possa fare.
Chi ignora tutto ciò è chiamato a riporre gli unicorni arcobaleno, tornare nel mondo regolato dal diritto oggettivo (e non da sentimenti buonisti) e disporsi al rispetto delle proprie radici. Questo, sia ben chiaro, non significa rigettare la possibilità che una persona venuta da lontano si accosti alle tradizioni del luogo di accoglienza facendole anche proprie, ma avere il coraggio di preservarle, valorizzarle, condividerle, sì, ma senza lasciare che siano schiacciate dall’uniformazione dettata dalla globalizzazione. C’è grande necessità di riscoprire un sano amor di patria, senza scadere, tuttavia, in un pernicioso nazionalismo.