Il destino del commercio (e non solo) globale, tra Cina e nuova presidenza USA

Nei giorni in cui Trump ha deciso di dare l’avvio al team di transizione, che si occuperà del passaggio di consegne tra il Presidente uscente e il neoentrato Biden (anche se per l’ufficialità attendiamo il 14 dicembre, giorno del voto dei grandi elettori), assistiamo a dei movimenti internazionali importanti, in particolare per quanto riguarda il campo economico. L’eredità lasciata dal tycoon è importante e i nuovi scenari sono decisamente interessanti.

Nel 2016, sotto il coordinamento di Obama, gli USA hanno provato a mettere a segno un bel colpo in Asia e, più in generale, tra i paesi della cintura dell’Oceano Pacifico, per togliere una fetta di possibile sbocco al mercato cinese, tuttora più emergente che mai. La Trans-Pacific Partnership (TPP) comprendeva il 40% dell’economia globale e un quarto del suo commercio. I 12 paesi coinvolti erano Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, e Vietnam. Sotto l’era Trump, più precisamente a soli tre giorni dall’insediamento alla Casa Bianca (era il 23 gennaio 2017), questo accordo è stato immediatamente stoppato con un atto del Presidente, prima quindi che il Senato americano riuscisse a ratificarlo. Gli effetti di quella decisione si vedono, per uno strano scherzo del destino, proprio in questi giorni: la Cina ha firmato, insieme ad altri 14 Paesi e dopo anni di trattative, il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). Tale accordo commerciale, che prevede l’eliminazione di tariffe commerciali da qui a dieci anni, comprenderà il 30% dell’economia e della popolazione globale, raggiungendo 2,2 miliardi di consumatori; per la prima volta, inoltre, Cina e Giappone faranno entrambi parte di uno stesso accordo commerciale. Gli altri Stati che hanno preso parte all’accordo sono: Australia, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Brunei, Cambogia, Laos, Indonesia, Malaysia, Myanmar, Thailandia, SIngapore, Filippine e Vietman.

Oltre al fronte con l’Asia c’è un’altra partita aperta: quella con l’Europa. Dopo l’inizio delle trattative tra i Paesi europei e la stessa Cina, per l’accordo definito come «Nuova Via della Seta», Trump ha iniziato a mettere dazi su parte dei prodotti europei che sbarcano negli Stati Uniti, a suo dire per proteggere le produzioni locali. Dall’altro lato, a Bruxelles, si sta pensando da tempo a una web tax: l’ipotesi è stata lanciata più volte, ma si è resa più concreta solo con l’avvento della pandemia e la successiva necessità di trovare coperture. Le aziende più colpite risulterebbero, tra le altre, molte grandi aziende americane, tra cui il gigante Amazon.

In molti pensano che l’obiettivo dell’ormai ex Presidente fosse disgregare l’UE, imponendo dazi proprio per raggiungere questo scopo, in modo da avere un maggiore potere contrattuale in successivi nuovi trattati bilaterali con i singoli stati UE e contrastando, di fatto, il potere che si sta guadagnando la Germania. Biden, da parte sua, sembra invece più aperto al multilateralismo: per questo è stato festeggiato soprattutto dai mercati europei, che sperano di non essere più in balia di qualche tweet improvviso da parte del «Potus». Ad ogni modo, visti gli avvicendamenti degli ultimi giorni, gli occhi si spostano tutti a est, verso quella Cina che, dopo essere stato il Paese ad essersi ripreso meglio dalla crisi derivata dalla pandemia, sta estendendo la sua influenza ai Paesi vicini, che costituiscono già ora la zona a crescita economica più rapida del Pianeta.