Il Ghana, la terra che conserva gli oggetti perduti

Siete stanchi di smanettare su un dispositivo elettronico che non soddisfa più le vostre aspettative?
Avete già allungato mani e portafoglio sul nuovo smartphone della grande mela statunitense, IPhone2019, atteso dai mercati di tutto il mondo entro il prossimo autunno? O non riuscite più a sopportare nella vostra cucina la presenza di un frigorifero stantio?
La vostra soluzione, se non appartenete alla grande fetta di popolazione italiana drasticamente colpita dalla generale crisi dei consumi, risiede nello sfogare bestialmente la vostra (e nostra) oniomania, la postmoderna mania di comprare quanto è in vendita. Questa, come dono fatale ricevuto dai nostri genitori, nonni e bisnonni, si presenta ormai congenita, poiché pilastro indiscutibile delle strutture economiche, politiche e morali su cui si fonda la società occidentale scaturita dal Piano Marshall.

Così, mentre assaporiamo e trangugiamo i prodotti offerti dalla nostra potenza tecnologica, mentre appaghiamo momentaneamente i desideri indotti dalla mente, siamo sempre tesi all’attesa dell’altro, del prossimo, dell’oggetto futuro, e poco indugiamo su quanto si nasconde dietro le nostre sagome.
L’utensile dimenticato, i giocattoli del secolo scorso, lo scopo mai raggiunto e seppellito con l’indifferenza, sono ormai perduti, gettati per sempre e irrimediabilmente smarriti negli angoli più remoti del pianeta.
La Luna di Astolfo, dove, privati della loro essenza, giacciono depositati gli antichissimi tesori occidentali di qualche mesetto fa, è Agbogbloshie, il quartiere infuocato di Accra, capitale del Ghana. Qui, ogni giorno, uomini e donne, adulti e minorenni, perseguitati dalla necessità di soddisfare i propri bisogni primari (bere, mangiare, dormire), si annidano fra i grigi fumi che coprono l’intera visuale del cielo, qui, ogni giorno, bruciano fili elettrici, computer, televisori e ogni sorta di apparato hi-tech, che la discarica elettronica più ampia del globo mette a loro disposizione.
Coprente un’aria pari a quella di 11 campi di calcio, cresciuta attorno ad un nucleo urbano che proprio con l’aumento dei rifiuti ha raggiunto, nell’arco di una decade, 40mila abitanti, è una delle aree più inquinate al mondo per l’elevata concentrazione di piombo, cadmio e mercurio nell’aria, nell’acqua, nel suolo.

Quale percorso affrontano i dispositivi elettronici da noi abbandonati, prima di depositarsi nella terra delle cose perdute?
Ogni volta che comperiamo un apparecchio tecnologico nei Paesi dell’Unione Europea, nel prezzo associato al prodotto è inclusa una tassa di riciclaggio, adibita ai costi del regolare smaltimento, la cui esecuzione, prevista quando il dispositivo raggiungerà il termine della sua vita utile, non deve avvenire fuori dai confini nazionali. I Paesi in via di sviluppo come il Ghana, capaci di offrire servizi a basso costo, attraggono, tuttavia, i Paesi occidentali, i quali, nonostante la Convenzione di Basilea del 1989, ratificata per proteggere l’ecosistema delle realtà sottosviluppate, proibisca espressamente il traffico internazionale di rifiuti tossici, aggirano la legge ricorrendo all’esercizio di donazioni e dichiarando di impegnarsi alacremente, con tale attività, nella lotta al digital divide, il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie di informazione e chi ne è escluso.
Il Ghana, paese democratico, caratterizzato da un ampio ricorso al liberismo economico, accoglie, così, l’aiuto straniero e si apre al mercato internazionale, non solo come centro smaltitore di e-waste, ma anche come uno dei principali importatori al mondo di elettronica di seconda mano.

Il valore della vita umana, il rispetto dell’ambiente e la difesa delle falde acquifere del fiume Odaw, che bagna di rifiuti la città, dovrebbe sconfiggere le ragion di mercatura? Come la storia del Novecento ha impartito al Vecchio e al Nuovo Mondo, facilmente il ricatto lavoro-salute dirotta verso un altra direzione i propositi degli uomini. Il fumo tossico della discarica, da cui è possibile rinvenire oro, argento, rame, ottone, zinco, rivendibili a imprese di riciclaggio cinesi, europee e mediorientali, è l’unica soluzione per continuare a vivere, poiché costituisce, nell’infima realtà della capitale ghanese, uno dei lavori meglio retribuiti: le 5mila persone impegnate nella discarica guadagnano in media 3,5 dollari il giorno, il doppio di quanto un lavoratore informale medio riesce ad accumulare giornalmente.

Mentre i giovani europei, nati nel culto dell’emigrazione e dell’itinerario formativo e galvanizzante, prenotano un altro viaggio di piacere in compagnia di amici e familiari, i giovani ragazzi del Ghana sognano una pulita e fertile terra dove dimorare. Per loro, tuttavia, è solo un’illusione, uno scopo mai raggiunto e seppellito con l’indifferenza, proprio come insabbiate e interrate sono le aspirazioni europee di dirigere lo Stato e le comunità sovranazionali secondo differenti forme di organizzazione economica. Questa volta, per risollevare due continenti, non basterà un Piano Marshall, ma sarà sufficiente combattere la disillusione.