Il Pd avrà vita breve se compattato solo dall’antileghismo

Prima Beatrice Lorenzin, poi Laura Boldrini. Ultimamente sembra che il Partito Democratico faccia gola un po’ a tutti, da destra a sinistra. Da quando,  infatti, il pericolo rappresentato da Salvini è stato sventato e il governo giallo-rosso si è insediato, le fila del Pd non hanno fatto altro che attrarre nuovi membri in quella che i più critici hanno ironicamente definito l’ultima transumanza politica. 

Che le celebrazioni di benvenuto si siano svolte con un tempismo a dir poco sospetto è fuori discussione e questo in cuor suo lo sanno sia il segretario Nicola Zingaretti che, ormai da tempo, aveva pronosticato l’allargamento del suo partito, sia la Boldrini che, intervistata da Lilli Gruber, ha subito chiarito come la sua non sia stata una decisione dettata dal desiderio di una poltrona parlamentare. Quello che rimane da capire dunque è se la recente apertura della principale forza di sinistra del Paese sia da considerarsi un’ipocrisia o piuttosto il punto di partenza per la costruzione di un’opposizione compatta alle persuasive forze di destra.

In fin dei conti, negli ultimi anni, con l’uscita dal Pd di alcuni tra i suoi volti più noti, da Civati agli storici Bersani e D’Alema, la sinistra italiana si era presentata nella più frammentata delle forme con partitelli dai nomi sempre più fantasiosi, sempre più a sinistra o a destra di prima. «A forza di fare scissioni rischiamo solo di estinguerci», ha affermato l’ex Presidente del Senato all’indomani del suo ingresso nel Pd. Niente di più vero, risulta naturale commentare. In un momento storico di crisi per la politica italiana la ricostituzione di un fronte unito a sinistra dovrebbe costituire a tutti gli effetti una priorità per le forze di opposizione e forse questo alcuni l’hanno capito.

Eppure, la notizia dell’arrivo di nuove leve nel partito di Zingaretti non finisce di convincere. Il nuovo Partito Democratico, che già dall’insediamento del governo Conte bis si era conquistato la fama di essere contraddittorio, non convince. Con l’ingresso di soggetti come la Lorenzin e l’apertura quindi verso il centro, il Pd rischia di allontanarsi sempre più dalla sinistra e trasformarsi  così in un bacino di affluenza in cui non tarderanno a convergere i sostenitori delle idee più disparate. 

Sia ben chiaro, vale la pena ribadirlo, che il rischio di questa apertura non è certo rappresentato dalla ritrovata unione d’intenti che sembra animare quanti hanno deciso di confluire nel Partito Democratico in funzione anti-leghista. Nella stessa intervista sopracitata, Laura Boldrini ha descritto il Pd come un «partito plurale, ampio, dove possono convivere diverse sensibilità» e il problema è proprio questo. Dopotutto, un partito di opposizione privo di una visione unitaria e di obiettivi comuni, al di fuori di quello meramente utilitaristico di strappare voti all’avversario, non può certo sperare di imporsi sulla scena politica semplicemente atteggiandosi a salvatore della patria. Se vuole ricominciare ad avere un peso nella politica e recuperare consensi, il Partito Democratico deve innanzitutto definire una propria ideologia che spinga gli elettori a votarlo perché in quelle famose sensibilità ci credono e non perché è l’unica opzione rimasta.