Impressioni sull’odio dopo due settimane d’osservazione

In origine fu il mix tra pangolino e pipistrello in opposizione all’allora tesi complottista della fuga accidentale dal laboratorio di Wuhan (attualmente le posizioni sulle responsabilità sarebbero più sfumate). In origine fu la campagna «abbraccia un cinese», politicamente costruita quanto socialmente apprezzabile. In origine fu il rischio zero. Oggi, a distanza di tempo, di acqua sotto i ponti n’è passata, tanto da richiedere un attimo di fredda riflessione sugli ultimi sviluppi. In ambito comunicativo, dopo il discorso alla nazione del francese Macron, a partire da metà luglio si è potuto notare un repentino cambio di registro linguistico nella comunicazione politica e dei mass media italiani, avente come target una specifica fetta di popolazione. Chi scrive si è preso due settimane per osservare il procedere di quest’accelerazione comunicativa, rivolgendo l’attenzione sulla spaccatura sociale in atto.

In queste due settimane si è ottenuta la polarizzazione estrema nel dibattito pubblico. Il registro linguistico, in televisione e nelle prime pagine, è andato estremizzandosi e incattivendosi arrivando a richiamare vocaboli propri dell’atmosfera bellica: «caccia ai non vaccinati». Eccolo il target: i no vax. Ora, proprio un articolo di Repubblica offre la quantificazione dell’insieme reale: i no vax non sarebbero superiori al 3%! Situazione paradossale: prima si attiva la caccia, poi li si quantifica in un numero assai limitato. L’insieme etichettato come no vax deriva dalla riduzione della complessità (dunque dall’esclusione delle posizioni mosse da semplici dubbi legittimi) alla narrazione di una fiaba: la battaglia verso la sconfitta del Covid ha in sé, lungo il percorso, degli ostacoli che si parano davanti all’abbattimento del mostro.

L’odio sociale, fomentato usando la classica maschera moderata, che si è potuto notare dalla comunicazione social lungo quest’arco temporale fa impallidire: dal lockdown selettivo, alla rimozione del diritto di parola nei social; dagli scompartimenti in cui relegare chi non ha il greenpass, ai cartelli da portare al collo in segnalazione della propria appartenenza all’insieme; dall’apertura di campi di concentramento appositi dove mettere in esilio l’insieme, all’aggiunta di camere a gas, arrivando fino alle promesse di staccare le spine nelle terapie intensive. Tutte queste posizioni, nella maggior parte provenienti da profili privati, talvolta hanno visto protagonisti, mediante proposte o condivisioni, addirittura membri della classe dirigente.

Ciò che preoccupa sono gli apprezzamenti presenti e la velocità con cui si sia arrivati alla manifestazione di queste manifestazioni d’odio estremo. Sono bastate due settimane per canalizzare l’odio sociale verso una parte di concittadini che, attualmente, risultano in linea con la legge. Il Governo, con una scelta politica criticabile o meno in base alla propria posizione, ha finora deciso di non accollarsi la responsabilità d’imporre l’obbligo alla cittadinanza, optando per il consenso informato del cittadino all’atto della vaccinazione.

Per quanto riguarda il contesto d’utilizzo del nuovo strumento del greenpass, esso rappresenta la restituzione, all’atto della vaccinazione, di diritti precedentemente posseduti sulla base della Costituzione, ma parziale, perché limitata nel tempo e subordinata all’attuazione di determinati comportamenti. Sulla base di questo ragionamento mutuato dal giurista Scarselli, ci si può spingere fino a idealizzare il greenpass come un contenitore di diritti subordinati a comportamenti, estendibile a svariati contesti del sociale sulla base di una scelta politica. Per esempio, a livello elettorale, proprio per la smentita fulminea, ci si potrebbe spingere fino a immaginare, in base all’andamento futuro dell’emergenza, l’impedimento di ingresso al seggio (in quanto luogo chiuso) ai cittadini non aventi il greenpass che, in questo modo, non potrebbero esercitare il loro diritto di voto pur non avendolo formalmente perso. Un dibattito simile si è già consumato in Francia, dove un emendamento atto a scongiurare quest’ipotesi è stato bocciato, mantenendo percorribile questo scenario.

Non resta che continuare a verificare le implicazioni che le scelte politiche avranno nel prossimo futuro a livello sociale. Già oggi anche i contesti familiari potrebbero non essere esenti a spaccature.