Je suis Charlie en Italie: un par di balle

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E così ieri sembra essersi concluso l’incubo che ha terrorizzato la Francia e il mondo intero per tre giorni: sono stati uccisi dalle teste di cuoio sia Amedy Couibaly, il 32enne che dopo aver ucciso una vigilessa la mattina dell’8 gennaio ieri si era asserragliato in un supermercato kosher prendendo in ostaggio una dozzina di persone (di cui 4 sono morte), sia i fratelli Kouachi, responsabili della strage di Charlie Hebdo del 7 gennaio.
Ora che questa storia sembra essere arrivata al suo, ci auguriamo definitivo, epilogo, ci sembra il caso di esporvi qualche nostra riflessione a tal proposito. Sorvoliamo sul fatto che, visto come sono andate le cose, questa storia – se non fosse una tragedia – parrebbe una farsa: la polizia (e non l’antiterrorismo) francese che con quasi 90000 uomini per 48 ore brancola nel buio alla ricerca di due persone e i terroristi stessi che da una parte sbagliano numero civico alla ricerca della rivista satirica, perdono dei documenti e si crede anche una scarpa e alla fine non si accorgono che nella tipografia dove si erano asserragliati c’era ancora il grafico che, nascosto fra degli scatoloni, comunicava con l’esterno; dall’altra parte Couibaly che telefona alla polizia dal negozio kosher e che lascia la linea aperta regalando alle forze dell’ordine un’insperata «intercettazione» ambientale fondamentale per il blitz. Concentriamoci piuttosto sul nostro paese che, come troppo spesso accade, non ha fatto un’ottima figura: primo fra tutti Il Giornale che passa tre giorni a pontificare su quanto sia pericoloso l’Islam per l’occidente dimenticandosi di dare le notizie o dandole con elegante ritardo (parliamo dell’edizione online); Matteo Salvini che su Sky confonde il libro sacro dell’ebraismo (la Torah) con il Corano affermando che «l’estremismo musulmano derivi da un’errata interpretazione della Torah»; Giuliano Ferrara che, dal largo della sua grandezza, sentenzia che «siamo in guerra [contro l’Islam ndr] e chi non lo ammette è un coglione»; Angelino Alfano che, come è giusto che sia, riferisce alla Camera cos’è successo a Parigi quando però di 630 deputati ce ne sono sì e no un centinaio. Neanche fosse una seduta straordinaria la notte di Natale: era un banalissimo venerdì mattina. E poi Beppe Grillo che si lascia andare a teorie complottiste sul suo blog: si vede che ha parecchio tempo da perdere.

Elena Donazzan
Elena Donazzan


Particolare menzione meritano due politici veneti. La prima è Elena Donazzan, assessore all’Istruzione della Regione Veneto e colonna portante dell’ex Alleanza Nazionale veneta, che, con una circolare, esprime il suo desiderio che le famiglie degli studenti musulmani condannino apertamente gli attentati di Parigi. Nella circolare, inviata a tutti i dirigenti scolastici della regione, la Donazzan sottolinea l’esistenza di una «cultura che predica l’odio verso la nostra cultura» e prosegue «Se [gli studenti musulmani
ndr] hanno deciso di venire in Europa, in Italia, in Veneto, devono sapere che sono accolti in una civiltà con principi e valori». Pochi se ne ricorderanno, ma questa è la stessa Elena Donazzan che voleva regalare copie della Bibbia a tutti gli studenti del Veneto (a spese di chi?), che pontificava in consiglio regionale su come Biagi e D’Antona fossero stati uccisi «dall’antifascismo». Era la stessa Elena Donazzan che auspicava che l’ora di religione tornasse obbligatoria, che aveva mandato – simbolicamente – al rogo una serie di libri a suo parere non adatti alle scuole (MinCulPop de noiartri). Ci fermiamo qui ed evitiamo ogni commento.

Massimo Bitonci
Massimo Bitonci


Altro personaggio, ormai celebre su queste pagine, che si è sentito in obbligo di dire la sua, è stato (neanche a dirlo) il sindaco di Padova Massimo Bitonci: «Mai moschee in città» è stato il suo
mantra degli ultimi giorni e la ciliegina sulla torta è stato il progetto di un’ordinanza – come dichiarato da Elisabetta Beggio, consigliere della lista Bitonci sindaco – che vieti ogni raffigurazione del burqa o del niqab nei luoghi pubblici, in quanto sono simbolo di sottomissione della donna, e poi, conclude, «La nostra Città e il nostro Paese non possono tollerare chi non rispetta le donne». Ipse dixit.
Forse, diciamo forse, non è questa la reazione adatta a quanto è avvenuto a Parigi negli ultimi giorni: non pensate che impedire – tanto per fare un esempio – che venga costruita una moschea a Padova non impedisce certo un attentato in città? Esistono i mezzi di trasporto, caro Bitonci.
E se noi cercassimo invece di tirare fuori il meglio di noi in queste situazioni? Se cercassimo di capire e di far capire anche a chi ha la testa più dura della nostra che islam e terrorismo non sono la stessa cosa, che non vale l’assioma «Chi non si dissocia pubblicamente approva»? Sono questi i momenti in cui dovremmo provare a prendere esempio dai francesi: sono questi i momenti in cui si deve essere uniti. Musulmani, cristiani, ebrei, atei, grillini, berlusconiani e renziani.
Purtroppo però questo non lo capiremo mai.

Tito G. Borsa