La catarsi di Virginia Raggi

Il 24 gennaio 2017 la Procura di Roma, con un invito a comparire rivolto alla sindaca Virginia Raggi, frantumava la (seppur apparente) quiete capitolina.

Raggi, in appena sette mesi di sindacatura, aveva già dovuto affrontare le dimissioni del capo di gabinetto, Carla Raineri, cinque rimpasti di giunta, il declassamento ad assessore semplice del vice-sindaco Daniele Frongia e il commissariamento ad opera di Fraccaro e Bonadede.
Non aveva, però, ancora sperimentato le ore più difficili del suo mandato:
450 minuti di interrogatorio fiume presso gli uffici di Polo Tuscolano.
Al centro delle indagini erano le vicende relative alle nomine di Salvatore Romeo e di Renato Marra, ma, in particolare, i rapporti con il fratello del secondo, Raffaele Marra, capo del personale capitolino, super burocrate, accusato di corruzione, nell’ambito di una più ampia e autonoma inchiesta concernente una gustosa tangente, dal valore di 400mila euro, recapitata dal re degli immobiliaristi romani, Sergio Scarpellini, nel 2013, sotto l’impero di Gianni Alemanno.

Si sfaldava, così, irreparabilmente il raggio magico, ribattezzato dai protagonisti (Raggi, Frongia,Marra e Romeo) , in una chat privata, come «I Quattro Amici al Bar».
Per Raggi veniva incardinata l’accusa di falso ideologico e abuso d’ufficio, ossia di aver dichiarato il falso, sotto le pressioni di Raffaele Marra, al responsabile anticorruzione del comune di Roma, al fine di favorire la promozione del fratello, Renato Marra, a dirigente del Dipartimento Turismo.

Mentre il procedimento giudiziario a suo carico è avanzato goccia a goccia, gli articoli di gossip politico non hanno mai ceduto il passo.
Dipinta, in uno primo tempo, come zarina debole, flebile fagottino manipolato dal losco Raffaele Marra, le sono state attribuite innumerevoli presunte e mai provate relazioni clandestine, al solo fine di ascriverla ad una moderna Messalina, donnaccia dissoluta e incapace di temperare le intime passioni.
Da Berdini, ex assessore all’urbanistica, alla già menzionata Carla Raineri, nessuno degli esiliati dal Campidoglio ha rifiutato di gettare una tagliente pietra sull’immagine pubblica della sindaca.
Dagli avversari politici è sempre stata tuonata un’unica nota: sindaca incompetente, responsabile di aver gettato la capitale nell’umiliazione, nel fango e nell’ombra, obbligata, quanto prima, a consegnare le proprie dimissioni.

Perfino i prodi compagni alle redini del Movimento 5 Stelle, come la faraona Roberta Lombardi, non hanno mai desistito dal suggerire l’abbandono del Campidoglio, come unico atto solutorio di uno scandalo incontenibile.
Già nel lontano 24 dicembre 2016, ad una settimana dall’arresto di Raffaele Marra, il Presidente del Consiglio Capitolino, Marcello de Vito, in un’intervista a La Repubblica, ribadiva: «A Virginia lo avevamo detto, Raffaele Marra doveva essere allontanato prima».
Sarà poi proprio De Vito, a partire dal marzo del 2019, a dover affrontare l’onta più terribile: otto mesi di carcere, con l’accusa di corruzione, per tangenti sullo Stadio di Roma.
L’indagine Costruzione Astrale, riguardante il traffico di influenze illecite e pratiche corruttive messe in campo dal costruttore Luca Parnasi contro la Pubblica Amministrazione, aveva, tra l’altro, già marchiato Giulio Centemero, tesoriere della Lega, e Francesco Bonifazi, tesoriere del PD (oggi membro di IV), ma, soprattutto, aveva falciato Luca Lanzalone, la carta di Casaleggio, consulente del Movimento 5 Stelle, celebrato con la nomina di Presidente di Acea, segno del fatto che neanche il commissariamento interno aveva giovato alla salute dell’amministrazione Raggi.

Neanche la salita del Movimento 5 Stelle alla guida di Palazzo Chigi ha poi frenato il processo di emarginazione.

Nei mesi dell’ingombrante alleanza gialloverde ha, infatti, pesato sulla sindaca il macigno di un alleato di governo, Matteo Salvini, non disposto ad allentare gli attacchi e gli sfregi contro l’operato di Raggi, a suo dire, governatrice di un città sprofondata nel degrado.
Il climax dello scontro tra la sindaca e il centrodestra è stato raggiunto il 6 maggio del 2019, quando la famiglia Omerovic, proveniente dalla Bosnia-Erzegovina e di etnia rom, riceve, nel rispetto del procedimento amministrativo e delle graduatorie, un alloggio popolare, nei pressi di Casal Bruciato, venendo, per tal motivo, assaltata da militanti di CasaPound e di Fratelli d’Italia, che rivolgono ai cittadini bosniaci violente intimidazioni, in un pubblico dileggio scandito da insulti e fischi.
Virginia Raggi, allora, sfidando la folla accalcata, che la contesta, si reca di persona presso l’abitazione della famiglia, per esprimere la propria solidarietà.
Se Matteo Salvini risponde con uno schema prevedibile, ossia qualificando come ingiustificabile ogni violenza, ma, al tempo stesso, promettendo una stagione di riforme, volta ad assicurare la superiorità dei cittadini italiani, è Luigi di Maio, capo politico del M5S, a replicare in modo sorprendente.
Immediatamente viene lasciato filtrare ai giornali un retroscena clamoroso: l’irritazione di Di Maio per il gesto compiuto dalla sindaca. Il capo politico smentirà solo a distanza di 48 ore, compiendo un mezzo passo indietro, ove esclude la sua contrarietà al gesto di Raggi, ma conferma lo slogan leghista: Prima gli italiani.
Tutta la solitudine politica di Virginia Raggi è impressa in questo giorno.

Dopo quattro lunghi anni di irrefrenabile dissenso, il mobbing politico contro la sindaca Raggi ha toccato l’approdo finale.

Il 19 dicembre 2020 Virginia Raggi è stata assolta in Corte d’Appello, perché il fatto non costituisce reato.
Secondo il giudice, la sindaca ha agito con piena autonomia e indipendenza nella scelta delle nomine, in quanto non aveva alcun interesse proprio a dichiarare il falso.
In occasione della catarsi, Raggi ha deposto un commento liberatorio:
«Oggi molte persone dovranno riflettere, anche e soprattutto all’interno del M5S. Troppo facile salire sul carro del vincitore, magari con parole vuote e di circostanza, dopo anni di silenzio».

La sindaca non molla, anzi procede a testa alta e mira a candidarsi alle elezioni comunali del 2021.
La sindaca, rafforzata dal verdetto favorevole, sfrutta l’occasione trionfale per implorare il governo, affinché questo manifesti un serio atto di collaborazione politica: concessione di fondi e poteri speciali a Roma Capitale.

Si infrange, dunque, con il sorriso di Virginia Raggi il sogno governista di un inciucio tra dem e grillini.
Separati da strade opposte, dem e grillini deambulano a tentoni, alla disperata ricerca di un candidato alternativo a Virginia Raggi.  Lo troveranno mai?